Il testamento è un negozio giuridico tipico con cui l’autore determina la sorte del proprio patrimonio in pendenza della sua morte, servendosi degli strumenti della istituzione dell’erede e del legato.
Nello specifico, il testamento olografo è lo strumento più diffuso attraverso il quale il testatore può esprimere la propria libera volontà: esso ha natura giuridica ed efficacia probatoria di una scrittura privata e dev’essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore.
Deve chiarirsi, sin da subito, che le disposizioni contenute nella scheda testamentaria sono sempre revocabili in qualsiasi momento poiché il legislatore intende garantire l’assoluta libertà del testatore nella regolamentazione dei propri interessi dopo la morte.
La revocabilità del testamento è un principio di ordine pubblico che trova la sua espressa tutela nell’art. 679 c.c. che prescrive l’inefficacia di ogni clausola o condizione con la quale si rinunci alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie. Avv. Viola Zuddas, Civilista
Al riguardo, deve precisarsi che la revoca, talvolta indicata anche come “revocazione”, può essere giuridicamente qualificata come un atto negoziale volto a togliere efficacia alle precedenti disposizioni testamentarie: essa può essere espressa o tacita, a seconda delle modalità con cui avviene.
In particolare, la revocazione è espressa quando il testatore, con un nuovo testamento o con un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, dichiara esplicitamente di revocare, in tutto o in parte, la disposizione testamentaria precedente.
È, invece, tacita quando la volontà di revocare la disposizione testamentaria può desumersi da un comportamento specifico del testatore che, ad esempio, redige un nuovo testamento che reca delle disposizioni incompatibili con quelle contenute nel testamento anteriore.
Ciò precisato, deve ulteriormente chiarirsi che il legislatore ha previsto un’ipotesi di revoca legale del testamento nel caso in cui siano sopravvenuti dei figli dopo la redazione della scheda testamentaria.
Difatti, l’art. 687 c.c. prescrive che: “Le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, benché postumo, anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio. La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento. La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi. Se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo a rappresentazione, la disposizione ha il suo effetto.”
Nell’ipotesi contemplata dalla norma, quindi, la revoca opera al verificarsi di un presupposto di carattere oggettivo che può, invero, manifestarsi in un duplice modo: l’ignoranza dell’esistenza di figli al momento della redazione del testamento o la sopravvenienza degli stessi.
Coerentemente con la finalità della disposizione in commento, tra l’altro, devono essere ricompresi nella categoria dei figli, o discendenti, anche coloro che abbiano ottenuto l’accertamento della loro filiazione a seguito di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.
Sorge, però, un problema quando il testatore, in vita, abbia avuto consapevolezza di avere un figlio non riconosciuto e, nonostante ciò, abbia deciso volontariamente di escluderlo dal testamento.
Sul punto deve darsi conto di un contrasto sorto tra dottrina e giurisprudenza, che si fanno portatrici di due distinti orientamenti.
La dottrina muove da un’interpretazione restrittiva della norma appena richiamata ed afferma che la revoca sia uno strumento riconosciuto per attuare rigorosamente la volontà del testatore: quest’ultima, infatti, dev’essere sempre preservata e, dunque, non potrebbe disporsi la revoca del testamento poiché il testatore, pur essendo consapevole di avere un figlio, ha inteso escluderlo volontariamente dalla propria successione.
Tuttavia, la giurisprudenza più attenta e sensibile individua il fondamento della norma nella oggettiva modificazione della situazione familiare, con conseguente necessità di tutelare gli interessi successori dei figli e dei discendenti del testatore.
Per tale motivo, secondo questo orientamento, il testamento redatto da chi sapeva dell’esistenza di propri figli nati fuori dal matrimonio deve essere revocato anche qualora l’accertamento della filiazione avvenga a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità pronunciata dopo la morte del testatore.
Quest’ultima posizione è stata accolta dalla Corte di Cassazione che, con una recente pronuncia, ha precisato che: “La sopravvenienza di figli, idonea a giustificare la revoca del testamento, ricorre anche quando venga esperita vittoriosamente nei confronti del testatore l’azione di accertamento della filiazione, senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, né che quest’ultimo, quando era in vita, non abbia voluto testare in loro favore.” (Cass. civ., sent. 21 maggio 2020, n. 13680). Avv. Viola Zuddas, Civilista
Sulla base del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, quindi, deve ritenersi che a nulla rileva che il testatore abbia redatto il testamento nella consapevolezza di avere un figlio e con la precisa volontà di non riconoscerlo né di disporre in suo favore; né, tantomeno, rileva che il riconoscimento dello status di figlio sia avvenuto con una dichiarazione giudiziale emanata dopo la morte del testatore.
Difatti, in tali ipotesi, la finalità della revoca è quella di tutelare la filiazione per preservare gli interessi successori dei figli e ciò anche a discapito della volontà espressa dal testatore quando era ancora in vita.