Si sa, la scelta del fotografo è uno degli aspetti più importanti legati all’organizzazione del matrimonio perché avere un bel servizio fotografico, unico e personalizzato, consente agli sposi di ricordare nel tempo le emozioni vissute nel loro giorno speciale. 

Per questo motivo, la scelta del fotografo avviene sempre con grande cura e con diversi mesi d’anticipo in modo tale da poter concordare, per tempo, non solo lo stile fotografico da dare al reportage del matrimonio ma, anche, il budget da destinarvi. 

Quest’ultimo, infatti, può variare in relazione alla complessità del servizio fotografico ed alle prestazioni ulteriori che gli sposi possono eventualmente scegliere per immortalare i momenti più importanti della giornata. 

Ma cosa accade se il fotografo, dopo aver immortalato ogni dettaglio della preparazione degli sposi, della cerimonia e della festa, non consegna loro il servizio fotografico? 

La risposta a questo interrogativo ci viene fornita dalla Corte di Cassazione che, pronunciatasi in numerosi casi simili a quello descritto, ha chiarito che gli sposi hanno diritto al risarcimento del danno patrimoniale derivato dall’inadempimento del fotografo. 

Difatti, quest’ultimo e gli sposi sono legati da un contratto in forza del quale, a fronte del pagamento del corrispettivo concordato, il fotografo deve consegnare alla coppia il reportage fotografico ed ogni altro servizio che abbiano in precedenza concordato.  

Ebbene, è evidente che la mancata consegna delle fotografie del matrimonio rappresenta un grave inadempimento da parte del fotografo poiché è venuta meno la sua prestazione principale scaturita dal contratto. 

Per tale motivo, gli sposi hanno diritto ad ottenere il risarcimento del danno di natura economico – patrimoniale ingiustamente patito, rappresentato dalla somma corrisposta in favore del fotografo, il quale, non avendo adempiuto alle proprie obbligazioni, sarà tenuto a restituire quanto percepito. 

Ma gli sposi hanno diritto ad ottenere anche il risarcimento del danno non patrimoniale, cioè di quel danno rappresentato da un pregiudizio che non ha carattere economico ma incide su altri aspetti comunque rilevanti che attengono alla sfera personale del singolo?

Per rispondere a questo interrogativo, bisogna anzitutto chiarire che la mancata consegna del servizio fotografico incide negativamente sulla sfera personale degli sposi, poiché impedisce loro di rivivere nel tempo le emozioni del matrimonio attraverso il reportage e gli eventuali altri servizi concordati in precedenza con il fotografo. 

D’altronde, il matrimonio è un evento non ripetibile che riveste notevole rilevanza per la coppia e, pertanto, la mancata consegna delle foto del matrimonio potrebbe costituire effettivamente una lesione di grave importanza di quello che viene spesso definito come “il diritto alla memoria” o “al ricordo”, che rappresenta una componente del diritto all’identità personale riconosciuto dall’art. 2 Cost.

Ma questo pregiudizio potrebbe addirittura essere qualificato giuridicamente come danno morale ed esistenziale, meritevole di risarcimento?

La Corte di Cassazione, pur non negando l’importanza che le nozze rivestono per gli sposi, ha risposto negativamente alla predetta domanda ed ha chiarito che il danno subito può sì creare dei turbamenti d’animo ma non assurge ad una gravità tale da incidere su interessi di rango costituzionale, giuridicamente tutelati. 

Deve, infatti, escludersi che il diritto di ricordare il giorno del proprio matrimonio attraverso il servizio fotografico costituisca, di per sé, un diritto fondamentale della persona costituzionalmente riconosciuto e, pertanto, la sua violazione non è fonte di un obbligo risarcitorio in relazione al profilo non patrimoniale. 

Sul punto, è utile precisare che il danno non patrimoniale è risarcibile solo quando sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione o qualora ricorrano i casi espressamente previsti dalla legge. 

Nello specifico, e semplificando, devono sussistere i seguenti presupposti:  

  • l’interesse leso deve avere importanza costituzionale, ovvero deve trovare ingresso direttamente o indirettamente nella Costituzione, la quale ne impone apposita tutela, 
  • il danno non deve essere futile, ovvero non deve arrecare semplici disagi o fastidi, i quali non assurgono al rango di diritti giuridicamente rilevanti, 
  • la lesione dell’interesse deve essere grave, ovvero l’offesa deve superare una soglia minima di tollerabilità. 

Caratteristiche, quelle appena indicate, che non sussistono nell’ipotesi analizzata poiché è pur vero che il giorno delle nozze è sicuramente molto importante per gli sposi e la mancata consegna del servizio fotografico può comprensibilmente causare un turbamento d’animo negli stessi; tuttavia, il danno lamentato non presenta una gravità tale da incidere su interessi di rango costituzionale poiché il dritto a ricordare il giorno del matrimonio mediante il servizio fotografico non costituisce, di per sé, un diritto fondamentale della persona. 

Per tale motivo, gli sposi hanno diritto ad ottenere il risarcimento del danno economico – patrimoniale ingiustamente patito ma non anche quello di natura non patrimoniale poiché il pregiudizio sofferto non assurge a danno morale o esistenziale, costituzionalmente rilevante.

Avvocato Viola Zuddas

Nei giorni scorsi, la giornalista Selvaggia Lucarelli ha condotto un’interessante inchiesta sull’iniziativa promossa da Balocco e dall’imprenditrice Chiara Ferragni che, nelle precedenti settimane, hanno pubblicizzato l’ingresso nel mercato natalizio del pandoro dell’azienda dolciaria griffato Chiara Ferragni. 

Dalla nota pubblicata sul sito dall’azienda e dal post caricato su instagram dall’imprenditrice parrebbe evincersi che la vendita del pandoro sarebbe finalizzata a sostenere un importante progetto di ricerca condotto dall’ospedale Regina Margherita di Torino e che, quindi, parte del ricavato dovrebbe essere devoluto a favore delle cure terapeutiche per i bambini affetti da osteosarcoma e sarcoma di Ewing. 

Tuttavia, come riportato da Lucarelli sui propri canali social e su Domani, quotidiano di informazione su cui scrive, quella che è stata presentata come un’iniziativa benefica è, in realtà, un’operazione commerciale slegata dall’intento dichiarato, tant’è che Balocco avrebbe già effettuato una donazione in favore dell’ospedale a prescindere dalla quantità di pandori venduti. 

Infatti Lucarelli, nell’analizzare la descrizione del post dell’imprenditrice, ha messo in evidenza la presenza – tra gli altri – dell’hasthag “adv” che indica che il contenuto è sponsorizzato, ossia che ha finalità commerciale. 

Ebbene, al di là del merito della vicenda, è interessante soffermarsi sulle tutele che vengono riconosciute dal nostro ordinamento al follower che nella fruizione di un contenuto veicolato sui social sia destinatario – più o meno consapevole – di un messaggio pubblicitario.Avv. Viola Zuddas, Civilista

L’hasthag “adv”(che deriva da “advertising”) – insieme a “partnership”,  “ad”, “sponsorizzato”, ecc.- è definito “hasthag della trasparenza”, in quanto chiarisce che il contenuto che si sta visualizzando attraverso una storia o un post è frutto di un accordo commerciale tra l’influencer, il creator o il blogger e un dato brand e che, quindi, la comunicazione ha finalità pubblicitaria. 

Il fenomeno definito “influencer marketing” con il tempo è cresciuto notevolmente grazie al fatto che, per la pubblicizzazione dei propri prodotti, le aziende che in passato si affidavano soltanto a personaggi famosi hanno deciso di avvalersi anche di persone “comuni”, o con un numero non elevato di followers, perché capaci di creare un rapporto all’apparenza più intimo e “vero” con gli utenti. 

Questo comporta che i followers spesso non rilevano la natura “commerciale” della comunicazione fatta dagli influencer o dai creator e, quindi, i contenuti da loro pubblicati vengono sostanzialmente percepiti come un “consiglio” derivante dalla loro esperienza personale. 

Tale distorsione è dovuta dal fatto che gli utenti si imbattono in tantissimi contenuti, caricati quotidianamente nei profili personali degli influencer o dei creator, che danno l’impressione di una narrazione privata del loro quotidiano soprattutto quando siano realizzati con tecniche fotografiche (volutamente?) non “professionali” e siano inseriti, magari, in un contesto definibile “familiare” o percepibile come tale. 

Come è evidente, si tratta di un fenomeno particolarmente insidioso in quanto, proprio per le modalità con cui avviene la comunicazione ed il rapporto che si instaura, il follower non rileva immediatamente l’intento pubblicitario di un dato contenuto (quindi il suo carattere commerciale) e, pertanto, il suo approccio è scevro da quelle “accortezze” che altrimenti adotterebbe naturalmente.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Quando sussistono questi presupposti ed in assenza di specifiche indicazioni sulla natura “commerciale” del contenuto non vi è dubbio che si configuri una vera e propria pubblicità occulta. 

Ebbene, sulla scorta di quanto previsto già nel Codice del Consumo sul tema, negli anni scorsi l’Autorità Antitrust (con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza e sulla spinta dell’Unione Nazionale Consumatori e del Codacons) ha intrapreso un’attività di monitoraggio di alcuni tra i principali influencer e società titolari di marchi prestigiosi, che più di altre si avvalevano della loro collaborazione, inviando delle lettere cosiddette di “moral suasion” per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’intento commerciale esistente dietro i post pubblicati. 

Con il tempo e con la diffusione del fenomeno, l’attività condotta dall’Antitrust si è ampliata e si è rivolta a tutti gli operatori coinvolti a vario titolo (anche ai gestori delle piattaforme social, per intenderci) che sono stati invitati ad adeguare la propria comunicazione ed i contenuti pubblicati alle prescrizioni del Codice del Consumo. 

L’Autorità ha, dunque, individuato delle regole generali di condotta volte a rendere chiaramente ed immediatamente riconoscibile per gli utenti la finalità promozionale dei contenuti diffusi nei social, attraverso l’inserimento di specifici avvisi (come i cosiddetti “hasthag della trasparenza”) anche qualora il prodotto sponsorizzato sia offerto “gratuitamente” all’influencer o al creator.Avv. Viola Zuddas, Civilista

A tale ultimo riguardo, infatti, il prodotto non è un semplice regalo ma rientra in un accordo contrattuale più ampio in cui dietro la consegna dello stesso vi è l’impegno, da parte dell’influencer o del creator, di pubblicare un certo numero di contenuti promozionali: in questo caso, quindi, la controprestazione per la pubblicità fatta è rappresentata non dal denaro pagato dall’azienda ma dal bene stesso che l’influencer o il creator ha ricevuto. 

In parallelo all’attività svolta dall’AGCM deve segnalarsi quella condotta dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (I.A.P.) che tramite la digital chart (confluita nel “Codice di autodisciplina”) ha indicato i parametri per una comunicazione commerciale «onesta, veritiera e corretta» a tutela dei consumatori ed anche della leale concorrenza tra le imprese, cui la stessa Autorità fa spesso riferimento. 

Tornando, quindi, al caso Balocco – Ferragni, è pur vero che nella descrizione del post pubblicato sul proprio profilo instagram l’imprenditrice abbia inserito l’hasthag “adv”, conformemente alle indicazioni dell’Antitrust; tuttavia, può legittimamente affermarsi che questo non sia stato sufficiente per chiarire agli utenti la natura commerciale dell’iniziativa dal momento che in tantissimi hanno acquistato il pandoro nella convinzione che parte del ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza. 

Sarà interessante confrontare i dati delle vendite di Balocco di quest’anno con quelli degli anni precedenti per verificare l’impatto dell’accordo commerciale con Ferragni, e poi anche raffrontarli con i numeri registrati dalle altre aziende dolciarie, poiché evidentemente potrebbe altresì porsi un problema in punto di concorrenza nel mercato. 

In conclusione, questa vicenda testimonia quanto sia necessario ed urgente predisporre un’apposita disciplina capace di regolamentare l’influencer marketing per tutelare anzitutto gli utenti – consumatori da contenuti ingannevoli e, poi, anche per consentire ai brand di operare nel rispetto dei principi della concorrenza nel mercato, e infine anche per le piattaforme stesse che non devono incorrere in responsabilità in ordine ai contenuti pubblicati che siano contrari alle norme vigenti.

Viola Zuddas, Avvocato

 

L’epidemia da Covid-19, attualmente in corso, ha sortito plurime conseguenze su più livelli.

Difatti, oltre ad aver inciso profondamente nella sfera privata e professionale dei singoli, ed aver, più in generale, causato una vera e propria crisi economica globale, il Coronavirus ha, altresì, determinato l’insorgere di numerose problematiche a livello giuridico.

Al riguardo, è statisticamente provato che la maggior parte delle controversie sorte all’indomani della pandemia, abbiano ad oggetto, principalmente, rapporti di natura contrattuale. Sul punto, basti pensare alle ipotesi di mancata consegna della merce a causa della sospensione delle attività produttive o, ancora, alle ipotesi in cui le agenzie di viaggio e/o turistiche non abbiano potuto eseguire nei confronti del consumatore la prestazione oggetto del contratto a causa della chiusura di porti e aeroporti ovvero delle frontiere tra Stati.

Ebbene, in un quadro caotico come quello delineato, il legislatore è intervenuto con una copiosa produzione normativa atta a far fronte ad uno scenario socio – economico – giuridico in continuo divenire.

Mediazione civile e commerciale

Certamente non immune da questo intervento è il settore della mediazione civile e commerciale.

Nello specifico, il legislatore ha, dapprima, cercato di rispondere alle imminenti esigenze di carattere organizzativo-gestionale degli incontri di mediazione. In particolare, ai commi 20, 20-bis e 21 dell’art. 83, D.L. del 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, veniva espressamente disposta:

  • la sospensione dei termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione, di negoziazione assistita e di tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti;
  • la possibilità che gli incontri di mediazione si svolgano da remoto, mediante l’uso di strumenti di videoconferenza.

Ma le principali novità sono state solo recentemente introdotte dal legislatore il quale, superate le prioritarie ed imminenti esigenze di tipo organizzativo per l’adozione di misure per il controllo e contenimento di situazioni di rischio, ha ritenuto opportuno attribuire alla mediazione un ruolo centrale nell’ambito della definizione stragiudiziale delle controversie, prevedendo una nuova ipotesi di mediazione obbligatoria, propriamente individuata all’art. 3, commi 6-bis e 6 ter del D.L. del 23.02.2020 n. 6.

Qual è, dunque, o quali sono, le nuove fattispecie al cui verificarsi si deve esperire il tentativo di mediazione?

La formulazione della norma sopra citata non consente di rispondere agevolmente alla domanda giacchè questa non enuncia espressamente e tassativamente le nuove ipotesi di mediazione obbligatoria.

Tuttavia, sulla scorta degli indirizzi interpretativi maggiormente consolidati, sembrerebbero rientrarvi le domande relative a:

  • risoluzione del contratto per inadempimento del debitore o inesatto o tardivo adempimento;
  • risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione;
  • risoluzione del contratto per eccessiva onerosità;
  • esercizio del diritto di recesso;
  • risarcimento del danno per inadempimento del contratto o tardivo adempimento dello stesso.
  • in generale, in tutti i casi in cui l’inadempimento totale o parziale del rapporto contrattuale sia diretta conseguenza del rispetto delle misure di contenimento della pandemia emanate sia a livello nazionale che regionale o locale, sia di carattere legislativo che amministrativo o regolamentare.

Dunque, alla luce di quanto sopra detto, la condizione di procedibilità deve essere ricondotta solo alle ipotesi di inadempimento o tardivo adempimento di obbligazioni di carattere contrattuale, dovendosi, perciò, automaticamente escludere le domande di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale, come, ad esempio, nelle ipotesi di risarcimento per danno da contagio.

Eleonora Pintus, Avvocato