Nell’ambito delle misure volte a garantire una tutela specifica della vittima del reato, l’ordinamento penale italiano prevede, tra le altre, la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di cui all’art. 282 ter c.p.p.
La misura in esame ha un carattere duplice, in quanto consente al giudice di prescrivere all’autore del reato di non avvicinarsi a luoghi determinati, ovvero di mantenere una certa distanza dai predetti luoghi o dalla stessa persona offesa, anche disponendo particolari modalità di controllo, mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici.
La finalità dell’istituto è evidente: tutelare l’incolumità della persona offesa, sia nella sfera fisica che in quella psichica, impedendo la reiterazione delle condotte delittuose ed evitando alla vittima il turbamento derivante dall’incontro con l’indagato o dalla vicinanza dello stesso.Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale
Sebbene sia una misura di portata generale, quindi, applicabile per qualsiasi reato, essa trova applicazione soprattutto in relazione ai reati di stalking, violenza sessuale, lesioni aggravate e maltrattamenti in famiglia.
Si tratta, infatti, di fattispecie delittuose contraddistinte dalla particolare vulnerabilità della persona offesa, in quanto destinataria di condotte di violenza persistenti e invasive, nonché caratterizzate dall’assillante ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo la stessa si trovi, tali da rendere necessaria l’adozione del provvedimento cautelare, suscettibile di applicazione immediata.
Giova sottolineare, inoltre, che la disposizione in esame si inserisce in un quadro normativo finalizzato al contrasto della violenza domestica e di genere, attuato con la L. n. 154/2001, che ha introdotto la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282 bis c.p.p., nonché con il D.L. n. 11/2009 che, oltre ad aver previsto la misura in oggetto, ha introdotto il reato di atti persecutori, ed infine con la più recente Legge sul femminicidio e con il cd. Codice Rosso.
Nonostante la disposizione in parola appaia di formulazione sufficientemente lineare, è sorto un problema interpretativo riguardante le modalità di attuazione della misura, tanto ciò è vero che, nell’ottobre scorso, si è reso necessario l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39005/2021.
Il contrasto giurisprudenziale
Un primo indirizzo giurisprudenziale, partendo proprio dal dato letterale dell’art. 282 ter c.p.p., in cui si parla di “luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa”, ritiene che spetti al Giudice indicare sempre in modo specifico e dettagliato i luoghi il cui l’accesso è precluso all’indagato destinatario della misura restrittiva.
Infatti, l’applicazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, senza una chiara individuazione degli stessi, avrebbe un connotato talmente generico e indefinito da comportare, da un lato, un’eccessiva e ingiustificata compressione della libertà personale e di movimento dell’indagato e, dall’altro lato, di rendere meno agevole il controllo delle prescrizioni imposte.
Il secondo indirizzo giurisprudenziale, invece, fornisce una chiave di lettura della norma partendo dalla finalità che la stessa assume, ovvero garantire la sicurezza della vittima attraverso la creazione di un vero e proprio “schermo di protezione” attorno ad essa, affinché la medesima possa vivere liberamente la propria quotidianità.
Ne consegue, quindi, che la previsione di un divieto di avvicinamento limitato solo a luoghi statici e predefiniti, in taluni casi, potrebbe non essere sufficiente a garantire una tutela piena ed effettiva della vittima, posto che nell’ambito della misura cautelare lo stesso Legislatore distingue in maniera netta due ipotesi, ovvero il divieto di avvicinamento ai luoghi o alla persona.
Ebbene, nel caso in cui venga disposto il divieto di avvicinamento alla persona offesa, il Giudice deve comunque indicare anche i luoghi oggetto del divieto oppure è sufficiente che indichi soltanto la distanza da tenere rispetto alla persona offesa ovunque essa si trovi?
La soluzione delle Sezioni Unite
Nel dirimere la questione, le Sezioni Unite hanno preso in esame la struttura della diversa misura di cui all’art. 282 bis c.p.p., ove è previsto che, in aggiunta all’allontanamento dell’indagato dalla casa familiare, possa essere disposto il divieto di avvicinamento a luoghi determinati -come ad esempio il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti della persona offesa-, sempre che sussista l’esigenza di una tutela “rafforzata” della vittima.
Similarmente, anche nel caso in esame la norma consente di graduare l’applicazione delle prescrizioni in base all’intensità del rischio a cui è esposta la vittima, attraverso la predisposizione dell’obbligo di mantenere una certa distanza sia da taluni luoghi che dalla persona offesa in quanto tale, e ciò in conformità alla normativa sovranazionale e, nella specie, alla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio UE n. 2001 del 13.12.2011.
Ne consegue, pertanto, che la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa è caratterizzata da prescrizioni autonome che possono essere disposte in alternativa oppure congiuntamente, ad esito del giudizio di bilanciamento degli interessi coinvolti e purché risultino strettamente necessarie a garantire la protezione della vittima, in accordo con la previsione dell’art. 13 della Costituzione e dei limiti applicabili alla libertà dell’indagato.Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale
Da un punto di vista pratico, quindi, potranno delinearsi due ipotesi differenti.
La prima ipotesi ricorre quando il Giudice decida di prescrivere il divieto di avvicinamento a luoghi determinati, poiché in tal caso la misura si applica a prescindere dalla presenza fisica della persona offesa e richiede sempre la chiara e precisa indicazione dei luoghi interdetti.
Ciò sta a significare che la violazione della misura imposta si realizza anche nel caso in cui l’indagato si rechi in uno dei suddetti luoghi e la persona offesa non sia presente in quel momento.
Peraltro, tale condotta, oltre a comportare un aggravamento della misura cautelare con altra più afflittiva, come gli arresti domiciliari o la custodia in carcere, è idonea a configurare un’autonoma fattispecie di reato, prevista nell’art. 387 bis c.p. e punita con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Mentre, la seconda ipotesi -senza dubbio più gravosa per l’indagato, ma comunque conforme ai principi costituzionali- riguarda il caso in cui sia disposto il divieto di avvicinamento proprio alla persona offesa, giacché in questo caso non è necessaria una perimetrazione fissa del divieto che, pertanto, si estende a qualunque luogo si trovi la persona protetta.
In questa ipotesi il Giudice, valutati i criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura, sarà tenuto semplicemente ad indicare la distanza che dovrà sempre essere mantenuta.
L’indagato, pertanto, dovrà tenersi a distanza dalla persona offesa, sia evitando di ricercare qualsiasi contatto con la stessa e sia, nel caso di incontro casuale, allontanandosi immediatamente e ristabilendo la distanza imposta.