Il matrimonio omosessuale è un fenomeno relativamente recente, ammesso, ormai, in molti Paesi di cultura affine a quella dello Stato italiano.
Tuttavia, poiché le fonti sovranazionali non impongono uno specifico e determinato modello di matrimonio, gli Stati restano liberi di prevedere o meno, all’interno del proprio ordinamento, il matrimonio di persone dello stesso sesso.
Difatti, come anche riconosciuto tanto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo quanto dalla Corte di Giustizia, nel rispetto delle diverse tradizioni giuridiche e sociali degli Stati, non è possibile imporre una nozione di matrimonio.
D’altra parte, però, le stesse Corti sovranazionali – e, più di recente, anche quelle Nazionali – sembrano voler sostenere e favorire il complesso normativo degli Stati più innovatori, tanto da affermare che anche il matrimonio omosessuale è pur sempre un matrimonio e, al contempo, una relazione tra persone dello stesso sesso è una relazione familiare che deve essere necessariamente tutelata.
Nello Stato Italiano, ad esempio, non è ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso in quanto, l’istituto del matrimonio ha, quale presupposto inderogabile, la diversità di sesso tra i nubendi.
Ma cosa accade, allora, nelle ipotesi in cui una coppia di cittadini italiani o di cittadino italiano e straniero abbia suggellato la propria unione in un Paese che ammette e riconosce l’istituto del matrimonio tra coppie same-sex? A tale unione può essere riconosciuto, a certi effetti, lo status derivante da un matrimonio omosessuale contratto fuori dalla “restrizioni” del proprio Paese?
La risposta è (parzialmente) affermativa.
Riqualificazione del matrimonio contratto all’estero in unione civile secondo la legge italiana
Il dibattito relativo al riconoscimento in Italia del matrimonio omosessuale tra stranieri è stato nettamente ridimensionato grazie all’introduzione di apposita disciplina internazionalprivatistica: il nuovo art. 32 bis della l. 218/1995 attuativo della legge n. 76/2016, conosciuta anche come “Legge Cirinnà”, detta una norma con la quale viene esteso il riconoscimento alle coppie same-sex, che abbiano contratto matrimonio all’estero, gli effetti dell’”unione civile” regolata dalla legge italiana.
Detta norma, dunque, riqualifica il matrimonio estero in unione civile, non discostandosi in termini sostanziali da quanto già operato, in precedenza, dalla giurisprudenza, allorquando non esisteva ancora una disciplina giuridica delle unioni civili.
Se, dunque, da una parte, vi è un riconoscimento dei matrimoni omosessuali transnazionali contratti all’estero, d’altra parte, detto riconoscimento non avviene mediante l’inquadramento dello stesso nell’istituto del “contratto matrimoniale” ma si verifica un’automatica conversione nello schema dell’”unione civile”.
Ciò significa che lo status e gli effetti derivanti da un matrimonio same-sex contratto all’estero da cittadini italiani o da coppia internazionale possono, sì, essere
riconosciuti dall’ordinamento statale, ma nei limiti ed entro gli effetti propri dell’istituto dell’unione.
Appare pertanto evidente che, pur avendo il legislatore nazionale voluto riconoscere alcuni effetti sostanziali del matrimonio omosessuale straniero, lo ha fatto riservando, formalmente, l’istituto del matrimonio solo alle persone di diverso sesso.
Gli effetti derivanti da un matrimonio same-sex contratto all’estero da cittadini italiani o da coppia internazionale possono essere riconosciuti dall’ordinamento statale, ma nei limiti ed entro gli effetti propri dell’istituto dell’unione civile.Avv. Eleonora Pintus, Penalista e Internazionalista