Il quadro delle violenze e molestie nel mondo del lavoro
Secondo l’Istat (2018), in Italia un milione e 404 mila donne hanno subito nel corso della loro vita molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. In un rapporto pubblicato da WeWorld e Ipsos in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 70% delle donne intervistate dichiara di aver subito una qualche forma di molestia in ambito lavorativo in Italia.
Un’iniziativa dell’Espresso e della CGIL inaugurata questa settimana, #lavoromolesto, si unisce a questi studi con l’obiettivo di raccogliere le testimonianze di molestie sul lavoro, includendo minacce, comportamenti offensivi e umilianti che violano la dignità delle lavoratrici, da parte di superiori e colleghi. Il progetto sottolinea che la maggior parte delle vittime e survivor non parlano delle proprie esperienze. È importante precisare che la responsabilità non deve mai pesare sulle vittime e survivor, ma su un sistema che deve porre le condizioni necessarie perché si sentano tutelate, perché le loro voci siano credute e ascoltate, perché ci siano delle procedure che prendano sul serio le loro denunce (all’interno di un’azienda o tramite le forze dell’ordine). Questa responsabilità è del governo e dei datori di lavoro.
I dati a livello nazionale e regionale in tutto il mondo e le esperienze di survivor e vittime mostrano una realtà assordante:
- Le violenze e le molestie sul lavoro impregnano tutti i settori, tutti i contesti, tutti i paesi
- Le donne, le persone con disabilità[1], le persone razzializzate, le persone LGBTQI+, le lavoratrici migranti, le persone che lavorano nel settore informale e che hanno un lavoro precario sono le più esposte. In questo contesto, l’intersezione delle identità diventa un fattore di vulnerabilità aggiunta, e ogni gruppo va considerato come fortemente eterogeneo.
- Dove esistono delle leggi solide e interessanti, c’è comunque ancora tanto da fare da parte dei governi per potersi assicurare che siano messe in pratica, e che i datori di lavoro si prendano le loro responsabilità in materia di prevenzione e protezione del personale, come rivendicato dai sindacati, dai movimenti e associazioni femministe di tutto il mondo.
Quale cornice normativa a livello internazionale?
Nel 2019, una Convenzione internazionale contro la violenza e le molestie nel mondo del lavoro è stata adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Concretamente, questo significa che gli stati membri dell’ONU, sindacati e datori di lavoro hanno intrapreso delle negoziazioni per arrivare a un documento che offra un quadro normativo in materia. Per poterla applicare a livello nazionale, ogni governo deve poi ratificarla, effettuando i cambiamenti legislativi necessari per portarsi in pari con le misure indicate dal trattato internazionale.
La Convenzione 190 è accompagnata dalla Raccomandazione 206, che ha il ruolo di indicare e guidare gli stati membri nell’applicazione della Convenzione a livello nazionale. Fornisce infatti delle linee guida e degli esempi di misure che sarebbe fondamentale integrare per poter veramente proteggere le vittime e survivor di violenze e molestie, e per poter effettuare una concreta prevenzione.
Il 29 ottobre 2021 l’Italia ha completato il processo di ratifica, secondo paese in Europa e nono al mondo. Cosa significa per le lavoratrici e lavoratori italianə? Questo dipende dai cambiamenti che saranno intrapresi per rinforzare le leggi esistenti e la loro applicazione.Ludovica Anedda, Specializzata in uguaglianza di genere
Cosa offre di innovativo questo trattato internazionale?
La Convenzione 190 e la Raccomandazione 206 hanno quattro dimensioni che sono particolarmente importanti:
- La definizione di violenze e molestie sul lavoro è molto ampia, rispetto alla maggior parte delle legislazioni nazionali. L’articolo 1 legge:
« a) l’espressione “violenza e molestie” nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere;
« b) l’espressione “violenza e molestie di genere” indica la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali. »
E in Italia? Proprio in questi giorni il Senato sta discutendo un testo per l’introduzione del reato di molestia o di molestia sessuale. Lo stesso testo apporterebbe la modifica del codice delle pari opportunità introducendo sulle molestie una formulazione che includa anche gli atti indesiderati « anche se verificatisi in un’unica occasione » (art. 1 del D.D.L. 665).
- Nella Convenzione 190, la definizione fa riferimento a tutti i settori, nel pubblico, nel privato, nell’economia formale e informale, in aree urbane e rurali, e per tutte le lavoratrici e lavoratori, senza distinzione legata al tipo di contratto. Inoltre, intende come “mondo del lavoro” il posto di lavoro stesso, ma anche i luoghi connessi al lavoro come luoghi destinati a pause, bagni e spogliatoi, ma anche durante gli spostamenti per recarsi al lavoro o per il rientro dal lavoro, include lo smart working e le molestie e violenze online.
Questa dimensione diventa particolarmente rilevante nel contesto attuale in cui lo “smart working” forzato durante la pandemia ha cambiato per molte persone la realtà lavorativa in Italia e in tutto il mondo.
- La Convenzione 190 e la Raccomandazione 206 sottolineano l’importanza di considerare le persone e i gruppi che sono più a rischio di essere esposti alle violenze e molestie nel mondo del lavoro. Questo include le donne, le persone con disabilità, le persone razzializzate, le persone LGBTQI+, le lavoratrici migranti, le persone che lavorano nel settore informale, e non solo. Una settimana dopo il Transgender day of remembrance (TDOR), giornata per commemorare le vittime dell’odio transfobico, così come tutti i giorni dell’anno, è importante ricordarci che le persone transgender e non binarie sono particolarmente esposte alle violenze di genere, e questo include le violenze e le molestie sul lavoro, che si aggiungono alle multeplici forme di discriminazione che affrontano nel quotidiano.
In Italia è necessario finanziare e intraprendere studi e analisi che permettano di avere una visione più chiara di questa diversità di esperienze, in modo da poter concretamente adattare e applicare la legislazione e le misure dei datori di lavoro in tutti i settori.
In Italia, il D.D.L. Zan sul contrasto all’omolesbobitransfobia, all’abilismo e al sessismo, affossato al Senato proprio qualche giorno prima della conclusione della ratifica della Convenzione 190 da parte del Ministero per il Lavoro e le Politiche Sociali, sarebbe stato in questo contesto uno strumento essenziale e complementare per contrastare violenze e molestie nel mondo del lavoro.
- Un punto essenziale di questo trattato internazionale è il fatto che sottolinea l’impatto della violenza domestica sul mondo del lavoro.
Anche se questo collegamento non sembra immediatamente automatico, ci sono diversi motivi per cui è importante parlare di violenza domestica quando parliamo del mondo del lavoro.
- Il posto di lavoro è il primo luogo dove l’aggressore può facilmente trovare la vittima perchè, anche se stesse cercando di scappare, per necessità, se non è tutelata dal datore di lavoro e dallo stato, dovrà presentarsi a lavoro per non perderlo. Per questo motivo, la vittima/survivor deve avere l’opportunità di assentarsi senza subire delle conseguenze sul proprio impiego. In questo contesto, la legge italiana ha una misura che permette di prendere dei giorni di assenza retruibiti. Un’altra misura essenziale in questo contesto sarebbe il diritto alla mobilità geografica, che esiste per esempio in Spagna.
- Può capitare che una vittima e survivor, a causa delle violenze subite, si debba assentare o segua degli orari irregolari per poter, ad esempio, fare delle visite mediche o sporgere una denuncia: la vittima e survivor deve essere protetta dal rischio di perdere il lavoro e di essere licenziata. Misure di protezione dal licenziamento sono assenti nella maggior parte dei paesi del mondo, compresa l’Italia, con delle eccezioni in Nuova Zelanda e in Australia.
- Il lavoro ha un ruolo essenziale nella vita della vittima e survivor: la violenza domestica è spesso fortemente legata alla violenza economica e al controllo economico da parte del compagno violento: perdere il lavoro significherebbe per la vittima e survivor perdere la possibilità di essere economicamente indipendente per poter scappare dalla situazione di violenza e poter intraprendere dei percorsi di recupero e ricostruzione di sè.
- Il confine tra luogo di lavoro e domicilio è sempre più sfocato nel contesto attuale della pandemia del COVID-19, in cui tantə lavoratori e lavoratrici si sono trovati obbligatə a lavorare da casa, con uno “smart working” forzato: le vittime di violenza domestica si sono trovate in un lockdown con i propri aggressori.
In una società che sminuisce, ignora, invisibilizza e zittisce le vittime e survivor delle violenze di genere, in cui la cultura dello stupro impregna tutte le sue dimensioni, dal discorso politico e giornalistico, a ciò che viene rappresentato nei film, nelle fiction e nei programmi televisivi, è assolutamente fondamentale avere un quadro legale solido. Ma non è abbastanza.Ludovica Anedda, Specializzata in uguaglianza di genere
Sta a tuttə noi ascoltare, sostenere e amplificare giorno dopo giorno le voci di vittime e survivor, e mettere in discussione i nostri comportamenti e quelli delle persone che ci sono attorno. Ma sta al governo rinforzare le leggi, assicurarsi che queste siano applicate e valutate, che i datori di lavoro e le imprese italiane anche nelle loro filiere estere rispettino la normativa e integrino le misure necessarie per prevenire queste violenze e proteggere il personale, che le associazioni femministe che si occupano della protezione e del supporto per le vittime e survivor e i centri anti-violenza siano sostenuti e finanziati.
[1] Per un approfondimento sull’uso dei termini “persone con disabilità” o “persone disabili”, vedere l’articolo dell’attivista Sofia Righetti: https://m.facebook.com/sofiarighetti
Ludovica Anedda, Specializzata in uguaglianza di genere
Sono laureata in relazioni internazionali, con un Master in analisi di politiche pubbliche, e dal 2019 lavoro a Parigi con l’ONG di solidarietà internazionale CARE, in cui mi occupo di advocacy e influenza politica nell’ambito dell’uguaglianza di genere. Più precisamente, collaborando con altre organizzazioni, associazioni femministe e sindacati, sviluppo e presento raccomandazioni dettagliate per il governo francese, soprattutto per l’integrazione di un approccio di genere nella politica estera della Francia.
Nell’ultimo anno, mi sono particolarmente occupata di una campagna a livello nazionale per la ratifica da parte della Francia della Convenzione 190 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) contro la violenza e le molestie nel mondo del lavoro.
Precedentemente, sono stata consulente sulle politiche educative e di genere dell’Unione Europea a Bruxelles, e ho avuto delle esperienze professionali presso l’agenzia dell’Unione Europea che si occupa di uguaglianza di genere (EIGE) e presso l’agenzia dell’ONU specializzata nella protezione dei diritti umani (OHCHR).
Come progetto personale, ho iniziato una newsletter per poter accompagnare soprattutto giovanə professionistə nella ricerca di opportunità di lavoro nell’ambito dell’uguaglianza di genere e della protezione dei diritti LGBTQI+. Tramite questa newsletter, curo delle liste di Gender Jobs in ONG e associazioni, nel settore pubblico, nel settore privato, in organizzazioni internazionali.
Il Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne
Il 18 novembre scorso, Elena Bonetti, Ministro per le pari opportunità e la famiglia, ha presentato al Consiglio dei Ministri il Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, ovvero un documento di programmazione strategica per la definizione ed attuazione di politiche integrate ed efficaci.
Questo progetto, che si pone in continuità con il precedente previsto per il triennio 2017-2020, prevede la collaborazione della Cabina di Regia Nazionale (composta da amministrazioni centrali, Regioni e autonomie locali), delle Parti Sociali e delle principali realtà associative attive nel settore della prevenzione e del contrasto della violenza di genere.
L’obiettivo è quello di fornire risposte adeguate e concrete in relazione al fenomeno, purtroppo in costante aumento, della violenza di genere.
A tal fine, dunque, sono state introdotte diverse misure che mirano, da una parte, a tutelare le donne vittima di violenza e, dall’altra, a reprimere le condotte perpetrate dagli uomini contro le donne, attraverso specifici percorsi di informazione e sensibilizzazione della società.
Come si legge sul sito del Dipartimento per le Pari Opportunità (clicca qui il link per un approfondimento: http://www.pariopportunita.gov.it) il nuovo Piano è articolato per “assi” cui sono associate specifiche “priorità”, che affrontano le dimensioni più significative della violenza maschile sulle donne, ovvero: Prevenzione, Protezione e Sostegno, Perseguire e Punire, Assistenza e Promozione.
La sua struttura, quindi, è basata sulle tre “P” (prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli) alle quali è stata aggiunta la quarta “P” (ovvero, quella delle politiche integrate) previste dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013.Avv. Francesco Sanna, Civilista
Quest’ultima, giova precisarlo, rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che propone un quadro normativo completo e integrato a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza.
Inoltre, interviene con particolare riguardo anche all’ambito della violenza domestica che, come sappiamo, non colpisce solo le donne ma anche altri soggetti fragili, come bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela.
Il Ministro Bonetti, nel corso della presentazione del Piano Strategico, ha chiarito che nel Disegno di legge di Bilancio per il 2022 è stata inserita una proposta di modifica degli art. 5 e 5 bis del decreto-legge n. 93 del 2013 (recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”), in maniera da rendere più concreto l’intervento per la prevenzione ed il contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale.
Difatti, sono state anche destinate delle risorse finanziarie per garantirne l’attuazione con l’intento di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza maschile contro le donne attraverso l’adozione di politiche efficaci, in linea peraltro con Convenzione di Istanbul, citata in precedenza.
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Il fenomeno del “mobbing” e la tutela penale
Con il termine “mobbing” si intendono quelle forme di violenza e abuso -per lo più di natura psicologica-, maturate in ambito lavorativo, che possono manifestarsi attraverso offese, molestie, assegnazione di orari di lavoro o incarichi particolarmente gravosi oppure, al contrario, di mansioni inferiori rispetto al ruolo ricoperto dalla vittima, nonché mediante continui rimproveri o critiche aggressive e del tutto ingiustificate.
Statisticamente, sono le lavoratrici donne a subire maggiormente tali condotte, poste in essere tanto dal datore di lavoro (cd. mobbing verticale), quanto dagli stessi colleghi (cd. mobbing orizzontale).
Basti pensare, ad esempio, al licenziamento, al demansionamento o alle discriminazioni legate allo stato di gravidanza della lavoratrice (tanto ciò è vero che molte donne, per paura di perdere il lavoro, si sentono costrette a nascondere la gravidanza), alla disparità salariale rispetto al lavoratore di sesso maschile, nonché alle vere e proprie molestie di natura sessuale, come avances insistenti, provocazioni, palpeggiamenti o promesse di carriera, tutte condotte che comportano gravi danni per la salute psico-fisica della vittima.
Ebbene, dinnanzi ad un incremento sempre più preoccupante del fenomeno in questione, la giurisprudenza giuslavoristica ha definito il mobbing come “un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”.
Ma qual è la tutela penale prevista per questa tipologia di condotte?
Innanzi tutto, vi è da precisare che non sussiste un’espressa disciplina normativa in materia, né una fattispecie che preveda il reato di “mobbing”, di conseguenza, viene spontaneo domandarsi se le condotte poc’anzi descritte possano comunque assumere rilevanza penale.Avv. Claudia Piroddu, Penalista
La risposta è affermativa, invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, le condotte persecutorie poste in essere nei confronti del lavoratore e finalizzate alla sua emarginazione possono integrare il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., purché il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, ovvero sia caratterizzato da “relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia” (si veda, Cass. pen., 13 febbraio 2018, n. 14754).
Ad ogni modo, deve osservarsi che, nel caso in cui la condotta mobbizzante sia maturata in un contesto aziendale di notevoli dimensioni o comunque in cui non ricorrano le caratteristiche enunciate -ove cioè sia assente un legame diretto e particolarmente stretto tra le parti-, il reato di maltrattamenti non sarebbe configurabile.
In talune ipotesi, i Supremi Giudici hanno ritenuto che, nell’ambito dell’esercizio del potere di correzione e disciplina, la condotta del datore di lavoro che trasmodi in rimproveri abituali, ingiuriosi o minacciosi, sia idonea ad integrare il reato di cui all’art. 571 c.p.
Di indubbio interesse risulta il recente orientamento sostenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 14 settembre 2020, n. 31273, in cui i comportamenti ostili e vessatori perpetrati in danno del dipendente vengono ricondotti nell’ambito del reato di atti persecutori, previsto nell’art. 612 bis c.p.Avv. Claudia Piroddu, Penalista
Infatti, affinché sussista il delitto di stalking, l’ambiente in cui si sono verificate le condotte illecite risulta -peraltro comprensibilmente- del tutto irrilevante, tanto ciò è vero che il reato in parola può realizzarsi in qualsiasi contesto di vita della vittima (si pensi, infatti, al cd. stalking condominiale o al cd. stalking giudiziario), ivi compreso dunque quello lavorativo.
Giova poi aggiungere, altresì, che la predetta fattispecie, al pari del mobbing, si contraddistingue per la reiterazione nel tempo di condotte vessatorie, tali da ledere la libertà morale di chi le subisce, determinando un perdurante e grave stato di ansia o un fondato timore per la propria incolumità, ovvero da costringere la persona a modificare le proprie abitudini.
Tanto precisato, non vi è alcun ostacolo per ritenere integrato il reato di cui all’art. 612 bis c.p. nel caso in cui le condotte di mobbing si sostanziano in atti vessatori, posti in essere in maniera consapevole, ancorché non necessariamente finalizzata ad emarginare il lavoratore, tali da arrecare un danno alla libertà di autodeterminazione della vittima e alla integrità psico-fisica della stessa, garantendo così al lavoratore o alla lavoratrice una tutela mirata ed efficace.
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Le misure economiche a sostegno delle vittime di violenza di genere
L’espressione “violenza di genere” descrive tutte quelle forme di violenza che riguardano le persone discriminate in base al sesso.
Essa comprende, quindi, la violenza psicologica, quella fisica e sessuale, gli atti persecutori (il cosiddetto “stalking”) ed, infine, anche il femminicidio.
Per capire la gravità del fenomeno, è utile riportare qualche dato fornito dall’ISTAT (clicca qui per un approfondimento: https://www.istat.it ) che, qualche tempo fa, ha pubblicato il report dei dati trimestrali relativi al numero di pubblica utilità 1522 contro la violenza sulle donne e lo stalking.
Ebbene, il numero delle chiamate valide sia telefoniche sia via chat nel primo trimestre 2021 è aumentato del +38,8% rispetto all’anno 2020; inoltre, quasi il 50% delle chiamate valide riguarda la richiesta di aiuto da parte delle vittime di violenza e la segnalazione di casi di violenza che coinvolgono altre persone.
Ma vi è di più.
Secondo i dati del Viminale, aggiornati alla data del 14 novembre scorso e poi ripresi da La Stampa (clicca qui per un approfondimento: https://www.lastampa.it ), nonostante il tasso di omicidi sia diminuito di -2% rispetto al 2020, i casi di femminicidio sono aumentati del +3%: da inizio anno, infatti, hanno trovato la morte 103 donne, di cui 87 sono state uccise in famiglia e 60 di loro dal proprio partner.
I dati appena riportati mettono in evidenza come il problema sia di grandissima attualità e, purtroppo, in costante aumento.
Infatti, come abbiamo già visto nella pillola di diritto a cura della collega Avv. Claudia Piroddu, il Legislatore è dovuto ricorrere ad un inasprimento delle pene ed a specifiche procedure d’urgenza da applicare per tutti i delitti di maltrattamenti, minacce, stalking e omicidio commessi -anche in forma tentata- in ambito familiare o tra persone legate da una relazione affettiva.
In particolare, è stata emanata un’apposita norma, ribattezzata “Legge sul femminicidio”, nonché il cosiddetto “Codice Rosso”, modificato con l’ultima riforma del processo penale.
Ma la normativa contro la violenza di genere non è solo volta prevenire i reati e punire i colpevoli: essa ha, altresì, l’obiettivo di proteggere le vittime cosiddette “primarie” (ovvero, ad esempio, la donna che ha subito violenze dal compagno) e “secondarie” (ovvero, ad esempio, i figli rimasti orfani a causa dell’uccisione della propria madre).
Infatti, è stato introdotto il cosiddetto “Reddito di libertà”, ovvero un contributo economico erogato direttamente dall’INPS, stabilito nella misura massima di 400 euro mensili pro capite, destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.Avv. Viola Zuddas, Civilista
Detto contributo è, dunque, finalizzato a sostenere prioritariamente le spese per assicurare alla donna l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale, nonché il percorso scolastico e formativo dei figli minori, ed è compatibile con altri strumenti di sostegno al reddito.
Oltre a tale importante misura, il Legislatore ha inteso riconoscere maggiore tutela per gli orfani di crimini domestici e della violenza di genere e, per tale motivo, da luglio 2020 è in vigore il regolamento (istituito con Decreto Interministeriale 21 maggio 2020, n.71) che rende operative le norme che prevedono benefici in favore proprio di costoro e delle famiglie affidatarie.
Nello specifico, è stato istituito un fondo al quale possono accedere gli orfani di crimini domestici e violenza di genere minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, nonché le famiglie affidatarie di minori orfani di crimini domestici o di violenza di genere.Avv. Viola Zuddas, Civilista
Inoltre, lo Stato ha stanziato 15 milioni di euro per finanziare borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento nel mondo del lavoro in favore di chi ha perso un genitore per morte violenta.
Come abbiamo visto, quindi, l’aumento dei casi di violenza di genere ha spinto il Legislatore ad attuare misure, sempre più stringenti, volte non solo alla repressione dei delitti ma, altresì, alla tutela delle vittime, in favore delle quali sono previsti degli aiuti anche di natura economica.
Non vi è dubbio, però, che tali interventi debbano essere accompagnati dalla promozione di iniziative di informazione e sensibilizzazione per combattere sul nascere la violenza di genere, attraverso specifici percorsi di formazione tenuti da professionisti in tutti quegli ambienti in cui si renda effettivamente necessario.
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Combattere la violenza di genere e domestica nell’Unione Europea
La violenza di genere e quella domestica, che vede come vittime principali le donne e le ragazze, resta una delle principali problematiche nell’Unione Europea e per la cui eliminazione l’Unione si sta impegnando, ormai da tempo, nell’adozione di valide ed adeguate soluzioni.
Sebbene la maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea vanti, a livello nazionale, una normativa atta a combattere il fenomeno della violenza basata sul genere e/o sull’orientamento sessuale – anche in forza della ratifica di convenzioni Internazionali quali la già menzionata Convenzione internazionale contro la violenza e le molestie nel mondo del lavoro – mancano, tuttavia, i presupposti necessari per affrontare tale problematica in maniera efficace.
Nella specie, il vulnus deriva dall’assenza di una definizione univoca di “violenza di genere”, oltre che una normativa europea comune atta a combattere tale fenomeno.
Tra le forme più estreme di violenza di genere denunciate vi è senz’altro il femminicidio contro le donne e le ragazze che si può altresì estrinsecare nel diniego del riconoscimento di diritti strettamente connessi alla sfera individuale quali, ad esempio, l’assistenza all’aborto sicuro e legale.
Ecco perché, proprio di recente, anche alla luce dei sempre più diffusi casi di violenza – le cui principali vittime sono le donne e le ragazze ma anche gli uomini o le persone LGBTIQ+ – il Parlamento Europeo ha deciso di intervenire affinché la violenza di genere venga annoverata tra i reati comunitari ai sensi dell’articolo 83(1) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, insieme ad altri crimini che devono essere combattuti su base comunitaria quali, tra gli altri, il traffico di esseri umani, stupefacenti, il crimine informatico, terrorismo, armi.
Il Parlamento, a maggioranza assoluta dei suoi membri, ha così adottato una risoluzione avente ad oggetto una proposta legislativa per l’adozione di una Direttiva UE incentrata sulle vittime di violenza che dovrebbe includere, tra le altre: misure di prevenzione; servizi di sostegno; protezione e misure di risarcimento per le vittime; misure per combattere tutte le forme di violenza di genere; comprese la violenza contro le persone LGBTIQ+; disposizioni per garantire che gli episodi di violenza di genere siano presi in considerazione nel determinare la custodia dei bambini e i diritti di visita.
La direttiva dovrà necessariamente contenere indicazioni (seppur ridotte) di applicazione della legge; ciò anche al fine di rendere concreta la cooperazione tra gli Stati membri e lo scambio di informazioni e di migliori prassi.
Una tale iniziativa sortirebbe evidentemente l’effetto di stabilire definizioni e standard giuridici comuni, nonché fissare sanzioni penali minime in tutta l’UE.
Questa proposta fa seguito ad un’altra avanzata lo scorso febbraio, in cui il Parlamento ha chiesto una direttiva europea per prevenire e combattere la violenza di genere sotto ogni aspetto e sottolineando anche la necessità di adottare un “protocollo europeo sulla violenza di genere in tempi di crisi”.
In particolare, il Parlamento ha rilevato che i servizi di protezione per le vittime , quali le linee di assistenza telefonica, gli alloggi sicuri e servizi di assistenza sanitaria, dovrebbero assurgere a “servizi essenziali” in tutti gli Stati membri dell’UE.
Detta proposta nasce in considerazione dei numerosi casi di denuncia di “molestie sessuali e violenza online”.
Il crescente utilizzo dei social network e delle nuove tecnologie, infatti, ha creato condizioni fertili per la nascita di nuove espressioni di violenza quali, come detto, la violenza di genere in rete.
Una proposta legislativa al fine di combattere la violenza informatica di genere dovrebbe essere presentata proprio entro novembre 2021.
Attualmente, infatti, non esiste una definizione comune, né una manovra politica univoca ed efficace per combattere la violenza informatica di genere, né a livello europeo né a livello nazionale.
Secondo uno studio pubblicato e condotto dall’Unità Valore Aggiunto Europeo (Eava) del Servizio Ricerca del Parlamento europeo che integra la relazione legislativa di iniziativa del Parlamento europeo sulla lotta alla violenza informatica di genere, le azioni fino ad oggi intraprese sono risultate inefficaci e non adeguate ad affrontare il fenomeno tanto delicato quanto complesso della violenza informatica di genere; ciò anche, e soprattutto, per la natura transfrontaliera di questo fenomeno.
Alla luce di quanto detto, ed in linea con quanto affermato dal Parlamento europeo, considerato che la violenza di genere prende di mira le donne e le ragazze in tutta la loro diversità e le persone LGBTIQ+, è necessario un intervento che istituisca basi comuni per la repressione di tale fenomeno, per evitare – come si legge nella risoluzione – che trasgressori delle norme sociali delle “gerarchie di genere, dell’espressione di genere e dei sistemi binari di genere” possano continuare a “perpetrare disuguaglianze di genere e rafforzare le norme e gli stereotipi di genere”.
Pertanto, sulla scia degli standard di tutela imposti dalla normativa internazionale, come la convenzione di Istanbul, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) e altre, appare necessario un intervento tempestivo ed adeguato per combattere tutte le forme di violenza di genere su basi comuni, istituendo – come precisato dal Parlamento nella relazione di settembre 2021 – “norme minime relative alla definizione di reati e sanzioni, compresa una definizione comune di violenza di genere, così come norme comuni concernenti questioni chiave come la prevenzione, l’omissione di denuncia, la protezione, il sostegno e il risarcimento delle vittime nonché il perseguimento dei colpevoli”.
In conclusione, è indubbio che un approccio comune da parte di tutti gli Stati membri nella prevenzione e nella lotta contro la violenza di genere contribuirebbe a facilitare, e rendere concrete ed immediate, le attività di contrasto alla violenza sulle donne, sia online che offline, nell’ambito di operazioni transfrontaliere.Avv. Eleonora Pintus, Diritto dell’Unione Europea
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