Nei giorni scorsi è iniziata la raccolta firme per il referendum sull’eutanasia, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, che prevede la parziale abrogazione dell’art. 579 del codice penale, norma che, ad oggi, punisce l’omicidio del consenziente e vieta, pertanto, la pratica della cd. eutanasia attiva.
Data la complessità della questione e volendo tralasciare i problemi di natura etica che la tematica porta con sé, pare più opportuno soffermarsi, invece, sulla normativa italiana attualmente in vigore, nonché sugli aspetti giuridici dell’intervento referendario.
Innanzi tutto, quando si parla di eutanasia è necessario distinguere le forme di eutanasia attiva da quella omissiva.
Infatti, l’eutanasia praticata in forma omissiva consiste nell’interruzione delle cure necessarie per tenere in vita il paziente, comprese quelle di nutrizione e di idratazione artificiale, nel caso in cui questi decida liberamente di rifiutare qualsiasi tipo di trattamento sanitario, ancorché necessario per la sopravvivenza, al fine di evitare l’accanimento terapeutico.
Si tratta di un’ipotesi consentita in presenza di determinate condizioni, sebbene non risulti regolamentata in maniera chiara, univoca ed esaustiva.
La stessa trae fondamento nel diritto all’autodeterminazione individuale, previsto nell’art. 32 della Costituzione, nonché nella Legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, che, introducendo il divieto di ostinazione irragionevole delle cure, garantisce la tutela della “dignità nella fase finale della vita”.
A tale riguardo, ad esempio, in Italia è ammissibile la cd. terapia del dolore, consistente nella somministrazione di farmaci analgesici che, a fronte dell’interruzione dei trattamenti sanitari ritenuti gravosi e sproporzionati rispetto ai risultati ottenibili, conduce alla morte prematura del paziente, ma consentono al medico di alleviarne le sofferenze, così come la sedazione palliativa profonda e continua che evita al paziente terminale ulteriori patimenti.
Allo stesso modo, dal 31 gennaio 2018, è possibile dichiarare anticipatamente le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, attraverso il testamento biologico, con cui l’individuo può decidere se accettare o rifiutare le cure nell’eventualità in cui dovesse risultare affetto da una malattia invalidante o si trovasse nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso, proprio a causa delle condizioni di salute.
Per quanto riguarda l’eutanasia in senso stretto, ovvero praticata in forma attiva, l’Ordinamento italiano sanziona penalmente sia le condotte dirette, in cui è il medico a somministrare il farmaco eutanasico al paziente che ne faccia richiesta e sia quelle indirette, che si concretizzano in qualsiasi contributo materiale di agevolazione dell’altrui progetto di porre fine alla propria vita, attraverso l’assunzione -anche in modo autonomo- della sostanza letale. Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale
Invero, nella prima ipotesi ricorre il reato di omicidio del consenziente, punito dall’art. 579 c.p., mentre nel secondo caso si configura il reato di istigazione o aiuto al suicidio, di cui al successivo art. 580 c.p.
All’evidenza, entrambe le disposizioni sanciscono l’indisponibilità del diritto alla vita, nella misura in cui, pur a fronte della morte cagionata con il consenso effettivo della persona, la condotta risulta comunque punita, sebbene meno severamente rispetto all’ipotesi di omicidio volontario.
L’evoluzione normativa
Un significativo intervento correttivo è stato introdotto di recente dalla Corte Costituzionale, allorquando nell’ambito del noto processo a carico di Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.
In particolare, la Consulta ha ritenuto non punibile la condotta “di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli” (Corte Cost., 22 novembre 2019, n. 242).
Alla luce di quanto detto finora, quindi, in Italia l’eutanasia attiva costituisce reato (nelle forme dell’omicidio del consenziente o dell’istigazione o aiuto al suicidio), mentre, entro i limiti poc’anzi analizzati, il suicidio medicalmente assistito e la sospensione delle cure, altrimenti detta eutanasia passiva, risultano ammissibili, poiché riconducibili nell’ambito del già citato art. 32 Cost.
Tuttavia, giova precisare che, in occasione della vicenda Cappato, la Corte Costituzionale ha sollecitato espressamente l’intervento del Parlamento, affinché venisse introdotta un’appropriata disciplina a colmare il vuoto normativo in materia di fine vita, con lo scopo di garantire adeguata tutela a tutte quelle situazioni riconosciute come “costituzionalmente meritevoli di protezione”.
Ebbene, se, da un lato, nessun intervento normativo è stato ancora introdotto, d’altra parte non può trascurarsi che nella pratica si pone il problema della disparità di trattamento riservata ai pazienti affetti da patologie gravissime e sottoposti a trattamenti sanitari molto invasivi che, tuttavia, non potrebbero scegliere di rinunciare alle cure, senza subire ulteriori e prolungate sofferenze.
È evidente, infatti, che in tali sfortunate ipotesi resterebbe sempre precluso ai predetti soggetti di esercitare il diritto, riconosciuto anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, di decidere liberamente e consapevolmente di porre fine, con dignità, alla propria vita.
Il quesito referendario si propone, pertanto, di abrogare parzialmente l’art. 579 c.p., in modo tale che una persona maggiorenne, pienamente capace di intendere e di volere, nonché libera nell’esprimere il proprio consenso, possa consentire la propria morte, senza che ciò comporti conseguenze di natura penale nei confronti del medico che l’abbia determinata. Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale
Per il vero, la disposizione in parola resterebbe comunque applicabile, ma solo in relazione alla condotta di chi cagiona la morte di un uomo con il suo consenso, quando però il fatto è commesso contro una persona minorenne, inferma di mente o che si trova in condizioni di deficienza psichica, nonché nel caso in cui il consenso sia stato estorto con violenza, minaccia, ovvero carpito con l’inganno.
Quindi, la ratio dell’intervento è quella di punire, con la stessa pena prevista per l’omicidio volontario, soltanto chi cagiona la morte di un soggetto consenziente che, tuttavia, non risultasse in grado di prestare validamente il proprio consenso, per età, condizioni personali o in quanto destinatario di raggiri o suggestioni, finalizzate a intervenire, alterandolo, il processo di libera e consapevole formazione della volontà.
Ne consegue, al contrario, che ogni qual volta il consenso sia validamente prestato nel rispetto delle disposizioni di Legge dettate in materia di consenso informato e testamento biologico e, purché, tali condizioni e modalità siano verificate, non si configurerebbe alcun reato.
La portata della modifica sarebbe senza dubbio enorme.
In questo modo, infatti, si consentirebbe al soggetto di disporre del bene vita, al contempo realizzando un’estensione consistente del bene giuridico che si vuole proteggere, tale cioè da includervi il diritto dell’individuo di porre fine alla propria esistenza tramite l’aiuto di terzi, e, altresì, garantendo il pieno rispetto della dignità della persona.
All’evidenza, all’affermazione del predetto principio attraverso la proposta referendaria dovrebbe poi seguire un compiuto intervento legislativo, volto a regolamentare la materia e a delineare in maniera chiara e organica tutti i requisiti necessari per l’attuazione, sia in tema di espressione del consenso, che di accertamento preventivo dello stesso, nonché di individuazione dei soggetti legittimati a darne esecuzione.