Ddl Zan: novità legislative e risvolti pratici • Parte 2

Le modifiche al codice penale

Il disegno di legge Zan, composto da dieci articoli, ha l’espressa finalità di prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, mediante un intervento di modifica al codice penale.

In particolare, sono due gli articoli ad essere interessati dal DDL ZAN, ovvero l’art. 604 bis e l’art. 604 ter c.p., originariamente introdotti con la cd. Legge Mancino.

Nella formulazione attuale, l’art. 604 bis punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico e chi istiga a commettere o commette atti discriminazione o violenza per gli stessi motivi.

La norma punisce, inoltre, chi partecipa, presta assistenza, promuove o dirige associazioni o gruppi che incitano alla discriminazione o alla violenza basata sui motivi razziali o religiosi.

L’art. 604 ter c.p., invece, prevede un’apposita circostanza aggravante applicabile nel caso di reati commessi con finalità discriminatorie.

Ebbene, se, da un lato, il DDL ZAN non introduce alcuna modifica relativa al reato di propaganda – che rimane, quindi, limitato alle sole ipotesi di odio razziale o etnico – dall’altro lato, interviene sia in merito al reato di istigazione che avendo riguardo alla commissione di atti di discriminazione e violenza.

In parole semplici, si tratta di un intervento volto ad ampliare le norme già esistenti, destinato però ad aggiungere alle discriminazioni o violenze per motivi razziali, etniche e religiose, anche quelle fondate sul sesso, sull’orientamento sessuale e identità di genere, nonché sulla disabilità. Avv. Eleonora Pintus, Penalista e Internazionalista • Avv. Claudia Piroddu, Penalista

La Legge, inoltre, prevede l’introduzione di una specifica circostanza aggravante applicabile a quelle condotte criminose che risultano motivate da omotransfobia ed abilismo che, ad oggi, non sono previste espressamente in nessuna norma del codice penale.

Infatti, nonostante l’art. 61 c.p., che disciplina le circostanze aggravanti comuni applicabili a qualsiasi fattispecie, preveda l’aggravante di “aver agito per motivi abbietti o futili“, questa, tuttavia, ha ad oggetto ipotesi diverse che ricorrono solo laddove la condotta sia sorretta da motivi perversi o sproporzionati, entrambe difficilmente applicabili al caso in esame.

Ebbene, la critica maggiore che viene sollevata al disegno di legge riguarda la presunta limitazione della libertà di espressione che le modifiche normative introdurrebbero.

Ma è davvero così?

Libertà di espressione e reati di opinione

La libera manifestazione del pensiero, come principio fondante di uno stato democratico, è tutelata dall’art. 21 della Costituzione italiana, nel quale si precisa che “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione“.

Poter esprimere idee e pensieri, tuttavia, non significa poterlo fare in maniera indiscriminata, ad esempio, con modalità offensive o violente.

Vi sono, quindi, dei limiti previsti proprio per tutelare anche le libertà altrui, ossia l’onore, la reputazione, l’incolumità o l’integrità fisica e psichica delle persone coinvolte, solo per citarne alcune.

Deve poi aggiungersi che il codice penale e alcune leggi speciali puniscono i cd. reati di opinione, che tutelano valori morali, spirituali e ideali, intesi come beni super- individuali, ossia riconducibili all’intera società.

Ne sono un esempio, il reato di attentato contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato, il reato di attentato contro la Costituzione dello Stato o i reati di vilipendio, nonché il reato di apologia di genocidio e del fascismo che, nella specie, punisce chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.

Fatta questa doverosa premessa, pare opportuno precisare che il DDL ZAN garantisce la libertà di opinione, senza metterla in discussione né limitarla.

In particolare, l’art. 4 prevede espressamente che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti“.

Ciò significa che è ben possibile continuare ad esprimere liberamente idee e convinzioni personali, condivisibili o meno, purché la libertà di espressione del singolo non sconfini nell’istigazione all’odio e alla violenza per motivi inerenti al sesso, all’identità di genere o all’orientamento sessuale.

Peraltro, è necessario aggiungere che la norma non contempla né disciplina in alcun modo la “maternità surrogata” e la “transizione di genere“, ma introduce, invece, la definizione di “identità di genere“, quale estrinsecazione della libera espressione di sé, mutuandola dalla giurisprudenza europea e dal diritto sovrannazionale.

Invero, nell’art. 1, lett. d), il DDL stabilisce che “per identità di genere si intende l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dal­l’aver concluso un percorso di transizione“.

Come preannunciato, si tratta di una definizione introdotta per la prima volta dal Parlamento europeo e dal Consiglio con la Direttiva n. 95 del 2011 ove, rilevata l’esigenza di introdurre una definizione comune del motivo di persecuzione costituito dall’ “appartenenza a un determinato gruppo sociale”, è stato specificato che ai fini della definizione di un determinato gruppo sociale, occorre tenere debito conto degli aspetti connessi al sesso del richiedente, tra cui l’identità di genere e l’orientamento sessuale.

Una più approfondita definizione è stata poi inserita nella Direttiva 2012/29 UE, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

In particolare, nell’invitare gli Stati membri a migliorare la legislazione e le misure concrete di sostegno per il riconoscimento e la protezione delle vittime, la Direttiva in esame ha riservato particolare attenzione alle “vittime della violenza di genere”, con ciò intendendosi “la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere”.

La violenza punibile è, dunque, quella che “può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (…), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d’onore»”.

È evidente, dunque, che l’introduzione del concetto di “identità di genere” da un punto di vista giuridico non è certamente nuova ma ha trovato ampio riconoscimento già a livello sovranazionale. Avv. Eleonora Pintus, Penalista e Internazionalista • Avv. Claudia Piroddu, Penalista

Ebbene, nonostante ciò, sebbene l’Italia abbia recepito la Direttiva n. 29 del 2012 con il Decreto legislativo del 15 dicembre 2015 n. 212, ad oggi risulta l’unico Paese tra quelli fondatori dell’Unione Europea a non aver adottato una normativa per contrastare penalmente l’odio e la violenza per motivi inerenti al sesso, all’identità di genere o all’orientamento sessuale.

In questo contesto, il DDL ZAN consentirebbe, indubbiamente, di contrastare a livello penale questo tipo di fenomeni.

Eleonora PintusClaudia Piroddu, Avvocati

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