Gli acronimi DOP e IGP rappresentano l’eccellenza della produzione agroalimentare italiana ed europea e sono gli strumenti principali attraverso i quali viene tutelata la qualità dei prodotti e la garanzia di appartenenza degli stessi ad un determinato territorio.
I prodotti italiani con marchio DOP e IGP sono numerosi, come ad esempio Grana Padano, Prosciutto di Parma, Pecorino Sardo, l’Agnello di Sardegna, Mortadella di Bologna, Bresaola della Valtellina e tanti altri.
Inoltre, in Italia sono presenti 341 vini DOC e 78 vini DOCG, con il Piemonte a fare da capolista con ben sessanta etichette di prestigio, ma anche la Toscana, il Veneto, la Lombardia, la Puglia e la Sardegna, che vanta ben 19 vini di Denominazione di Origine controllata.
È proprio la combinazione di fattori umani ed ambientali che conferiscono al prodotto proveniente da una specifica zona geografica delle caratteristiche uniche.
All’evidenza, il prestigio di un prodotto dipende dalla garanzia della qualità dello stesso e dalla convinzione del consumatore che i prodotti sul mercato con denominazione protetta siano autentici.
La materia è disciplinata al livello comunitario dal Regolamento n. 1151/2012 che definisce i requisiti, le caratteristiche e gli standard qualitativi del prodotto alimentare o agricolo, con la specifica finalità di garantire la tutela sia della reputazione e dei profitti di agricoltori e produttori e sia per fornire ai consumatori informazioni chiare e precise sui prodotti presenti sul mercato.Avv. Claudia Piroddu, Penalista
Dunque, cosa si intende con le sigle DOP e IGP e quali sono le principali differenze?
La sigla DOP, ovvero Denominazione di Origine Protetta (contraddistinta dal bollino giallo-rosso) indica un prodotto proveniente da un determinato ambiente geografico, inteso come l’insieme dei fattori naturali e delle tecniche di produzione che lo contraddistinguono.
È necessario, però, che le fasi di produzione, trasformazione, elaborazione e confezionamento del prodotto avvengano all’interno di una specifica zona geografica, individuata nel disciplinare di produzione.
Con la sigla IGP, ovvero Indicazione Geografica Protetta (identificata dal bollino giallo-blu) vengono indicati i prodotti le cui caratteristiche dipendono dall’area geografica di origine, tuttavia, è sufficiente che una sola delle fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione si svolgano nell’area geografica di riferimento.
Vi sono ulteriori riconoscimenti europei, come ad esempio il marchio STG, ovvero Specialità Tradizionale Garantita, che indica i prodotti ottenuti mediante una ricetta tipica o con metodo di produzione tradizionale, ma senza vincolo di appartenenza ad un determinato territorio.
Inoltre, per quanto riguarda le denominazioni enologiche, si distinguono:
- la sigla IGT, ovvero Indicazione Geografica Tipica, che indica i vini le cui uve provengono per almeno l’85% da una determinata area non necessariamente ristretta;
- la sigla DOC, ovvero Denominazione di Origine Controllata, prevede requisiti più stringenti, sia in termini di produzione che di caratteristiche chimico-fisiche e sensoriali;
- infine, la sigla DOCG, ovvero Denominazione di Origine Controllata Garantita, indica i vini che, essendo stati per almeno 10 anni tra i DOC, acquistano maggiore prestigio e sono sottoposti ad un controllo accurato prima della messa in commercio, che si ripete anche nella fase di imbottigliamento, demandato ad un’apposita commissione.
La tutela comunitaria
Come anticipato, ai prodotti con marchio DOP e IGP è riconosciuta ampia tutela dinnanzi a numerose condotte illecite, comprese nell’art. 13 del Reg. n. 1151/2012, come, ad esempio, l’utilizzo commerciale del marchio registrato per indicare prodotti diversi, la contraffazione del nome registrato, l’uso di indicazioni che possano trarre in inganno il consumatore sull’origine e le qualità di un prodotto ed ancora le condotte di evocazione che inducono in errore il consumatore sulle caratteristiche del prodotto.
A tale specifico riguardo, la Corte di Giustizia, con la sentenza del 9 settembre 2021, causa C-783/19 (caso Champanillo), ha chiarito l’ambito di applicazione dell’art. 103 del Reg. UE n. 1308/2013 e riconosciuto la protezione dei prodotti a marchio DOP e IGP di fronte a comportamenti che possono creare nella mente del consumatore medio un nesso fuorviante tra la denominazione contestata e il marchio registrato.
Nella sentenza richiamata la Corte aveva affrontato il caso della catena spagnola di tapas bar denominata “Champanillo”, contrapposta al Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne che chiedeva di vietare l’utilizzo del termine “Champanillo” in quanto costituiva una chiara violazione della DOP “Champagne”.
La Corte ha accolto le richieste del Comité sul presupposto che il Reg. n. 1308/2013 tutela i prodotti a marchio DOP da tutte le pratiche che sfruttano la notorietà associata ad essi, sia con riferimento ad altri prodotti che ai servizi.
In particolare, è stata precisata la nozione di evocazione, da intendersi come l’utilizzo indebito in ambito commerciale di un segno che incorpori anche in maniera parziale il marchio DOP, sia che si tratti di un’affinità fonetica o visiva della Denominazione di Origine Protetta o, altresì, di una vicinanza concettuale con la stessa.
In altre parole, per connotare la condotta come illecita non occorre che si tratti di prodotti identici o simili a quello protetto, ma è necessario che sussista un nesso diretto ed univoco tra il termine e/o segno utilizzato per commercializzare il prodotto o il servizio e la DOP o IGP, tale da ingenerare confusione nel consumatore.
La normativa italiana
In ambito nazionale, le disposizioni comunitarie in materia di DOP e IGP sono disciplinate dal D. Lvo n. 297/2004, che, in caso di violazioni, prevede sanzioni amministrative pecuniarie, nonché la sanzione dell’inibizione all’utilizzo della denominazione protetta.
Nel codice penale, invece, è prevista la fattispecie specifica di cui all’art. 517 quater c.p., rubricata “Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti alimentari” che punisce la contraffazione, ovvero sia la falsificazione del marchio DOP e IGP, sia in caso di violazione del disciplinare di produzione di un determinato prodotto agroalimentare, con la reclusione fino a 2 anni e la multa fino a 20 mila euro, nonché l’introduzione nel territorio dello Stato, la detenzione per la vendita e la vendita o comunque la messa in circolazione dei medesimi prodotti contraffatti.
Inoltre, è prevista la distinta ipotesi di cui al precedente art. 517 c.p., che punisce la vendita di prodotti industriali mendaci, ovvero con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto.
Infine, sono previste due ulteriori fattispecie disciplinate rispettivamente negli artt. 473 e 474 c.p. che puniscono la contraffazione, l’alterazione o l’utilizzo di marchi o segni distintivi con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa fino a 25 mila euro, nonché l’introduzione nello Stato e il commercio di prodotti con segni falsi, con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa fino a 35 mila euro.
Avv. Claudia Piroddu