Pedopornografia: il consenso del minore può escludere il reato?

L’art. 600-ter, primo comma, n. 1, c.p., rubricato “Pornografia minorile”, punisce, con la reclusione da 6 a 12 anni, “Chiunque, utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico”. 

Dalla semplice lettura della norma, si comprende immediatamente l’illiceità della condotta di chi utilizzi il minore che non abbia compiuto i 14 anni di età o qualora sussista una condizione di costrizione del minore, ovvero di violenza, minaccia o, più in generale, di abuso. 

In tali casi, infatti, non può esservi alcun dubbio in ordine alla rilevanza penale della realizzazione di immagini o video che abbiano ad oggetto la vita privata sessuale del minore, in quanto, da un lato, si esclude che l’infraquattordicenne abbia raggiunto l’età per esprimere validamente il consenso sessuale e, dall’altro lato, poiché la costrizione implica di per sé l’offesa all’integrità psicofisica del minore. 

Tuttavia, cosa accade nel caso in cui vengano realizzate delle fotografie o registrazioni video con il consenso del minore ultraquattordicenne e nel contesto di una relazione sentimentale con una persona maggiorenne?  

In questa ipotesi, infatti, non tutte le condotte assumono rilievo penale, specie laddove le stesse siano il frutto di una libera scelta e sempre che il materiale prodotto sia destinato ad un uso strettamente privato. 

Per capire la distinzione tra ciò che integra il reato e ciò che, invece, si colloca al di fuori della sfera penale, occorre partire dal concetto di utilizzazione, che costituisce l’elemento fondante e necessario per la configurabilità della fattispecie criminosa. 

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, con la sentenza del 9 febbraio 2022, n. 4616, hanno individuato gli elementi costitutivi del reato in esame. 

L’utilizzazione del minore e il consenso 

In tema di produzione di materiale pornografico assume rilievo centrale il concetto di utilizzazione del minore, il quale, innanzitutto, consente di escludere la rilevanza penale del materiale autoprodotto dal minore medesimo. 

Il concetto di utilizzazione, infatti, implica la strumentalizzazione del minore, che diventa un semplice “mezzo” per soddisfare il desiderio sessuale dell’adulto o, in senso più ampio, una qualsiasi utilità. 

Ne consegue che qualora risulti provata l’utilizzazione del minore, quand’anche vi fosse il consenso del medesimo, lo stesso non può comunque escludere la rilevanza penale della condotta, poiché il consenso deve considerarsi libero e non il risultato della condotta di abuso perpetrata dall’adulto. 

All’evidenza, quindi, diventa fondamentale individuare una serie di elementi indicatori di una condizione di utilizzazione del minore. 

A tal fine, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno enucleato alcuni elementi in grado di viziare il consenso, ovvero: 

  • la posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore e la conseguente abusività della condotta realizzata; 
  • la dazione o la promessa di denaro in cambio della produzione del materiale pornografico e il conseguente abuso della condizione di svantaggio economico assunta dal minore; 
  • la sussistenza di condotte di violenza, minaccia (anche indiretta e insidiosa) inganno o abuso di autorità, quali modalità per ottenere la produzione del materiale pornografico; 
  • il fine commerciale perseguito; 
  • l’età del minore coinvolto, ossia se risulti inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale, nonché il grado di maturità psicofisica raggiunto. 

Ebbene, il requisito comune a tutte le ipotesi poc’anzi elencate si riscontra nella determinazione di una forma di condizionamento del minore o comunque nella formazione di dinamiche che vedono l’autore della condotta in una posizione di primazia rispetto al minore, il quale, proprio in conseguenza della condotta perpetrata dall’adulto o, più in generale, trovandosi in una delle situazioni rammentate, non è in grado di esprimere validamente il consenso e diventa un mero strumento  assoggettato al volere dell’agente.Avv. Claudia Piroddu, Penalista

Dunque, fatte queste doverose precisazioni, anche nel caso in cui il minore ultraquattordicenne e l’adulto siano legati da una relazione sentimentale e vi sia il consenso, la rilevanza penale della condotta di produzione di materiale pornografico non è necessariamente esclusa. 

In questa ipotesi occorre vagliare con maggiore rigore la presenza degli indicatori enunciati poco sopra, al fine di accertare se il consenso possa dirsi prestato validamente e liberamente oppure se risulti il frutto di condizionamenti o pressioni psicologiche più o meno insidiose. 

Peraltro, giova precisare che il consenso espresso al compimento dell’atto sessuale non implica in via automatica anche quello all’effettuazione di riprese o fotografie dal contenuto pornografico. 

Invero, affinché il consenso possa dirsi valido è necessario che si estenda anche in relazione all’ulteriore attività di registrazione dell’atto sessuale, nonché alla conservazione delle immagini così ottenute. 

Avendo, invece, riguardo alla successiva diffusione online del materiale attinente alla sfera sessuale del minore –anche mediante l’invio a terze persone su chat Whatsapp o Telegram-, considerato che il minore non possa mai acconsentire validamente alla messa in circolazione del materiale pornografico prodotto, in quanto egli non ha certamente raggiunto il grado di maturità tale da consentirgli di esprimere una scelta consapevole e ponderata,  la condotta di diffusione del materiale pedopornografico rientra indubbiamente nell’ambito dell’art. 600-ter c.p.

Tuttavia, la responsabilità del soggetto agente viene meno in caso di eventi imprevedibili e comunque a lui non imputabili, ovvero se egli dimostri di aver adottato tutte le cautele necessarie ed evitare la messa in circolazione del materiale.  


Claudia Piroddu, Avvocato

 

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