Quanto è sostenibile lo Smart Working nel lungo periodo?
Domenica 23 Febbraio 2020, direzione Vienna: ricevo comunicazione via mail che il Gruppo UniCredit ha imposto il blocco delle trasferte e constestualmente l’obbligo di attivare l’operatività in remoto.
Il Remote working era facoltativo fino ad 1 giorno alla settimana, ma nella pratica una % minimale della popolazione Operations (insieme di strutture decentrate di circa 4.000 colleghi che svolgono attività amministrative di back-office) usufruiva di questa opzione.
Alcune necessità fondamentali per una transizione in full remote working: messa a disposizione di PC portatile per tutti i dipendenti; dimensionamento dei server per garantire un sistema di accesso in sicurezza per oltre 80.000 utenti connessi contemporanei; garantire il piano di continuità operativa attraverso la gestione dei poli di back-up e la combinazione di attività remotizzabili e non (una % delle attività è per natura paper-based, per cui richiede presenza in ufficio).
A fine Marzo, mentre altre società e istituzioni discutono dell’implementazione dello smart working, UniCredit è operativa con l’intera popolazione remotizzata: un salto quantico in poche settimane.Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt
Ai meeting ricorrenti sull’emergenza sanitaria, si affiancano gli incontri verticali focalizzati sui risultati di business e sulla produttività operativa delle strutture ICT e Operations.
Il monitoraggio degli indicatori industriali in Operations (volumi, produttività, livelli di servizio, incidenti operativi) è parte della mission del mio team, per cui vi è forte interesse a comprendere le dinamiche complessive e la reazione al remote working dei colleghi, in precedenza non abituati al lavoro da casa.
I risultati sono ottimi: la produttività dei team di lavoro cresce, i livelli di servizio in linea con gli standard, gli errori operativi pressoché nulli.
La disponibilità di strumenti operativi evoluti, di allocazione dinamica di attività-risorse e monitoraggio, rappresenta un elemento essenziale per garantire reportistica giornaliera oggettiva in UniCredit.Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt
Dopo 2 anni di contesto pandemico, si aprono i dibattiti societari e accademici: questo scenario è sostenibile dal punto di vista sociale e accademico ? Tante risposte discordanti a numerosi quesiti posti nelle varie sfere di analisi.
Per quanto riguarda la mia personale esperienza ed opinione, è possibile affermare con ampia certezza che la produttività equivalente/superiore e la comodità di lavorare da casa rendono lo smart working un vero e proprio asset sia per l’azienda che per il dipendente.
La vera sfida è rappresentata dal contesto normativo e dall’evoluzione dei contratti di lavoro, con l’ipotesi di introdurre meccanismi flessibili di retribuzione/gestione ferie legati alla produttività.Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt
I risultati dipenderanno dalla disponibilità di tutte le parti in causa, a cooperare e rivedere le proprie posizioni di campo.
Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt
Ho conseguito la laurea triennale in Economia e Finanza presso l’Università di Cagliari e perfezionato i miei studi all’Università Bocconi di Milano con un master in Finanza.
Nonostante il background accademico incentrato su elementi quantitativi, inizio il percorso lavorativo in ambito consulenziale a carattere ICT e Operations presso Banche, Assicurazioni e Oil&Gas.
Dopo 8 anni di consulenza, intermediati da un’esperienza da start-upper, entro in Cerved, realtà leader in Italia nella Business Information & Rating, con il ruolo di supporto al COO.
Nel Maggio 2019 mi trasferisco in UniCredit per seguire una funzione di governance nelle Operations di Gruppo, con il compito di gestire dinamicamente “capacity e attività”, monitorare gli indicatori industriali e presidiare i contratti con i fornitori italiani di back-office.
Focus di diritto tributario, diritto del lavoro • Avv. Francesco Sanna
Smart working e imposizione fiscale
Lo smart working (“lavoro agile), introdotto nel nostro ordinamento nel 2017, è un fenomeno che si stava già diffondendo, ma che visto la sua definitiva affermazione con l’avvento del Covid-19.
L’articolo 18 della legge del 22 maggio 2017 definisce il “lavoro agile” come l’attività di lavoro subordinato che si svolge in parte all’interno dei locali dell’azienda e in parte all’esterno, senza una postazione fissa. Ciononostante dovranno essere rispettati i limiti dell’orario giornaliero e settimanale in riferimento alla legge e ai contratti collettivi. In buona sostanza il lavoratore non firma un nuovo contratto di lavoro, ma si impegna a prestare la propria attività in modo libero e con la responsabilità anche in termini di sicurezza sul luogo di lavoro.
Il luogo dove si svolge l’attività può essere scelto dallo stesso lavoratore, può essere sia in Italia che all’estero, in casa propria, o in locale pubblico e al limite anche all’aperto.
Venendo agli spetti fiscali e previdenziali dello smart working, si osserva come questo sia assimilato alle prestazioni di lavoro autonomo classiche. Quindi è soggetto alla tassazione IRPEF secondo gli stessi criteri e con le stesse eccezioni e sgravi previsti per tutti i lavoratori.
Spettano a questi dipendenti anche tutti i trattamenti previdenziali e assistenziali previsti a favore della forza lavoro. Si tratta dei contributi ai fini pensionistici da versare all’INPS, del trattamento di malattia e anche all’assicurazione sugli infortuni che dà diritto a ricevere un risarcimento a carico dell’INAIL o nei casi più gravi a ottenere la pensione per malattia professionale o per invalidità.
Nel caso in cui il lavoratore sia un cittadino che svolge la sua prestazione lavorativa all’estero, il riferimento normativo per quanto riguarda i tributi è il Testo Unico delle Imposte sui redditi, il quale all’articolo 2 indica, quali soggetti tenuti al versamento delle tasse, le persone fisiche residenti e non residenti sul territorio italiano.
Tuttavia, a seguito del succedersi delle varie normative sul tema, è possibile che ci si trovi con un problema di una doppia imposizione da parte del paese in cui si è svolto il lavoro e di quello di cui si è residenti.
In linea generale, la normativa alla quale fare riferimento è quella contenuta negli accordi internazionali firmati dalle nazioni “coinvolte” nel rapporto di lavoro in questione. Le possibilità sono che si decida in quale dei due paesi si paghino le tasse, che non ci sia accordo, o che sia prevista la doppia tassazione.
Le regole base in materia di tassazione dei redditi vanno ricercate nel Testo Unico dei Tributi. L’articolo 3 del TUIR stabilisce che le imposte dovute allo stato italiano si devono calcolare su tutti i redditi prodotti dal soggetto debitore verso il fisco. Questi redditi sono costituiti, per chi risieda in Italia, da tutti i redditi prodotti previa detrazione degli oneri deducibili.
Per chi invece, pur essendo cittadino italiano, risieda all’estero si deve tenere conto solo dei redditi prodotti sul territorio italiano. Gli altri saranno oggetto di tassazione da parte del paese dove sono prodotti, sulla base delle regole in vigore in quel luogo.
Pertanto, in ordine allo smart working si ritiene che il luogo in cui viene prodotto il reddito sia quello in cui si trovi fisicamente il lavoratore.Avv. Francesco Sanna, Tributarista
Sul punto, occorre evidenziare che il nostro ordinamento si occupa di definire in che modo si possa stabilire che il reddito sia prodotto in Italia piuttosto che in uno stato straniero.
L’articolo 23 del TUIR stabilisce che il lavoro dipendente, cioè quello che viene fatto a seguito di un contratto di lavoro, e non in modo autonomo, si considera come prodotto in Italia tutte le volte che quel lavoro sia fisicamente prestato sul territorio nazionale; così, rientra in questa ipotesi anche il caso di colui che con computer o smartphone lavori dall’Italia, pur essendo dipendente di un’azienda estera e pur avendo ufficialmente la residenza in quel paese.
C’è però un’eccezione nel caso in cui con lo stato di residenza di quel soggetto ci siano degli accordi internazionali che prevedono una regolamentazione diversa ai fini fiscali. In particolare accordi che abbiano il fine di evitare le doppie imposizioni fiscali.
In merito a tale particolare fattispecie si è interrogata l’Agenzia delle Entrate (interpello numero 626 del 27 settembre 2021), prendendo ad esame un caso del Lussemburgo.Avv. Francesco Sanna, Tributarista
Il caso del richiedente/contribuente era quello di un soggetto di nazionalità italiana, con residenza all’estero, ma che ha lavorato per un lungo periodo in Italia. Il lavoro però era fatto da casa con le modalità del lavoro agile alle dipendenze di un’azienda con sede nel paese dove ha il domicilio abituale.
Vista la particolarità del caso, il problema da risolvere è quello di capire esattamente che cosa si intenda per luogo di prestazione lavorativa.
Le possibilità sono due: una è che si abbia come riferimento la sede dell’azienda per la quale si lavora, l’altra è quella di fare una valutazione esclusivamente fisica.
Secondo l’interpretazione data dell’AdE, con la risposta n. 626 del 27 settembre 2021, il luogo della prestazione del lavoro è quello in cui si svolgono fisicamente le mansioni da contratto. Il riferimento fatto dal fisco è all’articolo 15 della convenzione OCSE dove si dice che il luogo della prestazione è quello dove si trovi fisicamente il lavoratore nel momento in cui porta a termine le sue mansioni.
Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu
Smart working: salute e sicurezza del lavoratore
Il cd. lavoro agile o smart working è disciplinato nella Legge n. 81/2017, rubricata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
L’art. 18 della predetta Legge definisce lo smart working come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che si differenzia sia dal lavoro subordinato classico che dal telelavoro, in quanto l’attività lavorativa si svolge in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa ed, inoltre, poiché l’organizzazione del lavoro è caratterizzata da un maggiore livello di autonomia in capo al lavoratore nella gestione del tempo e dello spazio, purché egli raggiunga il risultato richiesto.
Come si può immaginare, tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa ha sollevato delle problematiche nuove in tema di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, nonché di responsabilità, anche sotto il profilo penale, del principale garante, ossia il datore di lavoro.
È innegabile che il lavoro agile, per le sue intrinseche caratteristiche, comporti una maggiore difficoltà di gestione di tutti i rischi, generici e specifici, che scaturiscono dall’esercizio all’esterno dell’attività lavorativa, ovvero in un luogo di lavoro la cui scelta è lasciata alla libera autodeterminazione del lavoratore stesso.
La disciplina della sicurezza del lavoratore agile è prevista negli artt. 18 e 22 della L. 81/2017, in cui è stabilito, innanzitutto, che: “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa” ed, altresì, che: “il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale vengono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”.Avv. Claudia Piroddu, Penalista
Dalla lettura del testo normativo è possibile ritenere che, quand’anche ci si trovi dinnanzi ad una nuova e peculiare modalità di esercizio della prestazione lavorativa, ciò di per sé non faccia venire meno la titolarità della posizione di garanzia in capo al datore di lavoro, sebbene, proprio perché una parte del lavoro si svolge all’esterno, l’art. 22 preveda ulteriormente che: “il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”.
Quindi, da un lato, il datore di lavoro è comunque tenuto a tutelare il lavoratore da tutti i rischi connessi all’esercizio dell’attività lavorativa –sia essa svolta all’interno dei locali aziendali che all’esterno- e, quindi, risponde dell’eventuale mancato adempimento di tali obblighi di protezione e informazione, però, dall’altro lato, il lavoratore è tenuto a cooperare con il datore di lavoro alla gestione del rischio, con una conseguente ridefinizione del perimetro degli obblighi gravanti sul medesimo datore di lavoro.
Quali sono i risvolti pratici delle disposizioni contenute nella L. 81/2017?
Un primo aspetto che occorre affrontare riguarda l’individuazione del luogo di lavoro.
All’evidenza, si tratta di una problematica strettamente connessa al tema della sicurezza sul lavoro, posto che solo l’individuazione dei luoghi di svolgimento della prestazione lavorativa consente al datore di lavoro di adottare un efficace sistema di informazione, formazione e di prevenzione dei rischi, così garantendo una tutela effettiva.
A tale riguardo, l’art. 19 della L. 81/2017 prevede che “l’accordo relativo alla modalità di svolgimento del lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme del potere direttivo del datore di lavoro e degli strumenti utilizzati dal lavoratore”.Avv. Claudia Piroddu, Penalista
Pur nel riconoscere un maggiore livello di autonomia in capo al lavoratore -chiaramente applicabile anche alla scelta del luogo di lavoro-, tuttavia, la normativa prevede che mediante l’accordo delle parti sia possibile regolamentare i criteri e le caratteristiche del luogo ove dovrà svolgersi la prestazione lavorativa, nonché predeterminare i requisiti di sicurezza dello stesso, di cui il lavoratore dovrà essere puntualmente e specificamente informato, e ciò nel pieno rispetto delle norme generali previste a tutela della salute del lavoratore dal T.U. del 2008.
Altro aspetto decisivo connesso alla tematica di cui si discute riguarda proprio gli obblighi di informazione e formazione del datore di lavoro, in ordine ai rischi legati all’esercizio dell’attività lavorativa.
Invero, anche nella disciplina del lavoro subordinato tradizionale, è proprio il corretto adempimento da parte del datore di lavoro dei predetti obblighi che consente a quest’ultimo di limitare o escludere la responsabilità in caso di infortunio del lavoratore.
Nella specie, la norma citata poc’anzi richiede al datore di lavoro la predisposizione di un documento che, individuati i rischi connessi alla tipologia e alle modalità di svolgimento del lavoro, stabilisca, di volta in volta, in che modo sia possibile prevenire ed evitare il verificarsi di eventi avversi.
Pertanto, nel predetto documento (cd. DVR) –che, come detto, richiede un aggiornamento costante, con cadenza perlomeno annuale- dovranno essere indicati i rischi, generici e specifici, ma anche tutte le caratteristiche riguardanti il luogo di lavoro, le modalità di svolgimento dello stesso, l’utilizzo dei dispositivi tecnologici, nonché le informazioni riguardanti il diritto alla riservatezza e alla disconnessione.
In definitiva, la normativa risulta in linea con la caratteristica principale del lavoro agile che, a differenza del lavoro subordinato tradizionale, in cui è spiccata la funzione di controllo da parte del datore di lavoro, invece, pone al centro l’individuo-lavoratore e la sua capacità di organizzazione e collaborazione, con lo scopo di incrementare la competitività, ma anche di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, attraverso il riconoscimento e la valorizzazione dell’autonomia della persona.Avv. Claudia Piroddu, Penalista
Focus di diritto civile, diritto del lavoro • Avv. Viola Zuddas
Smart working e diritto alla disconnessione
Lo smart working (o “lavoro agile”), la cui definizione è contenuta nella Legge n. 81/2017, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che si caratterizza per la flessibilità organizzativa riconosciuta al lavoratore che, semplificando, non è sottoposto a particolari vincoli di orario o di luogo di lavoro e può, in accordo con il datore di lavoro, organizzare la propria attività per fasi, cicli e obiettivi.
La finalità, dunque, è quella di consentire al dipendente di conciliare le esigenze e gli impegni della propria vita personale con le incombenze legate all’attività professionale svolta, con l’obiettivo di bilanciare l’operatività dell’azienda e la crescita della produttività del lavoratore medesimo.
Affinché i predetti obiettivi siano attuati in concreto, al lavoratore in smart working vengono dati degli strumenti digitali (come ad esempio pc portatili, tablet e smartphone) che gli consentono di lavorare da remoto e, dunque, di svolgere la propria attività professionale in un luogo differente dal posto di lavoro.
Ebbene, come sappiamo la pandemia ha avuto un impatto devastante anche sull’organizzazione del mondo del lavoro ed ha reso necessario – talvolta imposto – il ricorso allo smart working che, dunque, è ormai largamente diffuso sia nel settore pubblico che in quello privato, sia pure con qualche differenziazione e peculiarità.
Ad ogni modo, per avere piena contezza di questo fenomeno, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha istituito con i decreti nn. 87 del 13 aprile 2021 e 99 del 21 aprile 2021 un gruppo di studio denominato “Lavoro agile” cui è stato demandato il compito di esaminare gli effetti dello svolgimento dell’attività di lavoro da remoto per porre in evidenza le criticità riscontrate dai dipendenti nella sua applicazione e, successivamente, individuare le possibili soluzioni da sottoporre alle parti sociali.
Difatti, bisogna ricordare che i lavoratori in smart working hanno spesso lamentato delle problematiche in ordine allo svolgimento concreto della prestazione rispetto alla complessiva organizzazione del lavoro operata dall’azienda, alla condivisione di informazioni in tempi ridotti rispetto al lavoro svolto in ufficio ed al bilanciamento equilibrato tra reperibilità e pausa dal lavoro.
Sul punto è bene ricordare che il Protocollo Nazionale sul Lavoro Agile ribadisce (clicca qui per un approfondimento: https://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/PROTOCOLLO-NAZIONALE-LAVORO-AGILE-07122021-RV.pdf ) che – ferme restando le previsioni di legge e di contratto collettivo – la giornata lavorativa svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati, nonché nel rispetto dell’organizzazione delle attività assegnate dal responsabile a garanzia dell’operatività dell’azienda e della produttività del singolo.
In tale contesto, non deve dimenticarsi che la prestazione di lavoro può essere articolata in fasce orarie nelle quali, però, dev’essere chiaramente individuata quella cosiddetta di “disconnessione”, cioè quel lasso di tempo in cui il dipendente non eroga la prestazione professionale e, dunque, non è nemmeno reperibile per motivi di lavoro.Avv. Viola Zuddas, Civilista
Infatti, risulta assolutamente necessario garantire al lavoratore in smart working delle pause dalla attività lavorativa al fine di mantenere un sano equilibrio tra le esigenze dell’azienda e quelle del dipendente medesimo.
Affinché ciò si realizzi in concreto, dunque, è necessario che i datori di lavoro adottino delle specifiche misure tecniche e/o organizzative per garantire ai propri dipendenti di beneficiare della fascia di disconnessione che, secondo quanto previsto anche in sede di contrattazione collettiva, corrisponde ad un periodo di riposo consecutivo giornaliero non inferiore ad 11 ore per il recupero delle energie psicofisiche.
Tra l’altro, nei casi di assenze cosiddette legittime (come ad esempio malattia, infortuni, permessi retribuiti, ferie, ecc.), il dipendente può disattivare i propri dispositivi di connessione e, in caso di ricezione di comunicazioni aziendali, non è comunque obbligato a prenderle in carico prima della prevista ripresa dell’attività lavorativa.
Ebbene, come si può evincere da questa breve analisi, sono riconosciute al lavoratore in smart working diverse tutele, in parte assimilabili a quelle spettanti ai colleghi che svolgono la prestazione con modalità ordinarie, che sono volte a conciliare le esigenze del dipendente e quelle di produttività dell’azienda.
Ci si chiede, però, quante di queste siano effettivamente applicate e in che misura possano dirsi veramente efficaci.
Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus
Il diritto alla disconnessione nell’UE: esigenze normative
La digitalizzazione e l’utilizzo adeguato degli strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali ai datori di lavoro e ai lavoratori, quali, in particolare, quello di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata oltre che la riduzione dei tempi di spostamento.
D’altra parte, però, hanno causato anche degli svantaggi, quali l’intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo decisamente meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata.
A partire dalle stesse Istituzioni dell’Unione Europea e, in particolare, dal Parlamento, è stata sottolineata l’esigenza di “educare” alla nuova cultura del lavoro a distanza.
Infatti, una delle conseguenze dell’utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura – come definita dal Parlamento – del “sempre connesso”, “sempre online” o “costantemente di guardia” che può ledere diritti fondamentali dei lavoratori con conseguente attentato all’equilibrio psico – fisico dei medesimi.
Posto che, ad oggi, non esiste una normativa specifica dell’Unione sul diritto dei lavoratori alla disconnessione dagli strumenti digitali, comprese le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC), a scopi lavorativi, il Parlamento Europeo, il 21 gennaio 2021, ha adottato una Risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione (2019/2181(INL)).
In particolare, il Parlamento ha invitato la Commissione ad includere il diritto alla disconnessione nella sua nuova strategia in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di elaborare puntualmente ed in maniera esplicita nuove misure e azioni nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro.Avv. Eleonora Pintus, Diritto Internazionale e dell’Unione Europea
La transizione digitale ha bisogno, infatti, di essere guidata dal rispetto dei diritti umani, dei diritti e dei valori fondamentali dell’Unione al fine di salvaguardare i lavoratori e garantire idonee condizioni di lavoro.
Ecco perché, nella Risoluzione, il Parlamento ha indirizzato la Commissione affinché valuti e affronti i rischi legati all’odierna mancata tutela del diritto alla disconnessione, invitando la stessa a presentare, sulla base di un esame dettagliato ed una consultazione degli Stati membri e delle parti sociali, una proposta legge – e nella specie di una direttiva – circa le norme e condizioni minime per i lavoratori affinché possano esercitare il diritto alla disconnessione.
Ma vi è di più: nell’ottica di un libero mercato e del nuovo valore acquisito dal diritto alla libera circolazione dei lavoratori, il Parlamento ha invitato la Commissione a presentare un quadro legislativo che stabilisca i requisiti minimi sul lavoro a distanza in tutta l’Unione, che sia capace di garantire che il telelavoro non pregiudichi le condizioni di impiego dei telelavoratori.
Il diritto alla disconnessione implica, in ogni caso, che i lavoratori possano astenersi dallo svolgere mansioni e, più in generale, altro genere di attività o anche comunicazioni elettroniche lavorative – quali telefonate, email e altri messaggi – al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi congedi, e ciò senza che questi possano subire conseguenze negative sul piano lavorativo e nell’ambito dei rapporti di lavoro.