Il Natale in negozio
Dicembre è il mese più atteso, non solo dai bimbi che aspettano il Natale con i doni ma, anche, dagli imprenditori che, come me e la mia socia Roberta Baioni, gestiscono attività commerciali.
In questo periodo, infatti, si raccolgono i frutti di undici mesi di investimenti – non soltanto economici ma anche in termini di impegno ed aspettative – e si devono concentrare tutti gli sforzi per non vanificare il lavoro preparatorio.
Quest’ultimo inizia a gennaio, con le fiere di settore che propongono con largo anticipo quelle che saranno le tendenze per gli addobbi degli alberi e della casa.
Il mio compito è proprio quello di fare la buyer per la mia società: mi occupo, quindi, degli acquisti per il negozio Sirene, naviganti e sognatori e, pur essendo un compito molto impegnativo e delicato, lo faccio con piacere e divertimento. Giovanna Diana, Imprenditrice
Questo compito, poi, è strettamente legato all’esposizione, anzi, ne è il preludio.
L’esposizione è un altro aspetto rilevante per la buona riuscita degli investimenti, perché la gestione corretta dello spazio del negozio e la cura nella scelta della merce da esporre attirano ed incuriosiscono maggiormente le clienti.
Esporre in modo elegante e creativo è sicuramente uno dei miei punti di forza e l’ambiente così creato accoglie e avvolge le clienti, rendendo il lavoro di un anno un successo.
Sono tante le persone che frequentano il nostro negozio e, delle volte, possono crearsi delle tensioni quando, per vari motivi, vengono inavvertitamente rotti degli oggetti dai clienti.
Ho una regola: evitare imbarazzi alle persone per cui, ogni qualvolta accade che un oggetto venga rotto, rassicuro la cliente e non addebito nessun costo, a meno che la cliente stessa non insista per ripagare il danno, ed in quel caso l’importo viene comunque decurtato del – 50%.
Infatti, anche se la legge mi consente di chiedere il pagamento dell’intera somma, sono convinta che una brava imprenditrice debba andare incontro ai propri clienti, soprattutto nei momenti che possono generare tensione ed imbarazzo.
Il periodo natalizio, come detto e come ovvio, è dedicato ai regali.
Questi, purtroppo, non sempre sono adatti a chi li riceve o, semplicemente, può capitare che non siano di gradimento.
In questo caso è bene ricordare per tempo che i cambi della merce si possono effettuare entro il 31 dicembre sempre e solo con la presentazione dello scontrino fiscale, che noi abbiamo cura di consegnare con l’apposita custodia.Giovanna Diana, Imprenditrice
Tra l’altro, il cambio o il reso degli acquisti fatti è una pratica che noi decidiamo di seguire perché capiamo le esigenze delle clienti e vogliamo che siano sempre soddisfatte.
Per questo motivo, anche se la legge non ci impone alcun obbligo – perché siamo un locale commerciale e gli acquisti avvengono direttamente in negozio e non, ad esempio, online – riconosciamo sempre alle clienti la possibilità di effettuare il reso, dietro presentazione dello scontrino fiscale.
Non è un lavoro facile il mio, richiede molta passione e tanto tempo da dedicare a tutti gli aspetti che, in questo focus, ho descritto solo in parte.
Ma non lo cambierei perché mi piace farlo in modo impeccabile e professionale.
E questo, alla fine, da i suoi frutti.
Giovanna Diana, Imprenditrice
Sono nata e cresciuta a Cagliari, e con la mia socia di origine lombarda, Roberta Baioni, ho creato Sirene, naviganti e sognatori, piccolo ma prezioso store al centro della città.
L’attività ha, ormai, 22 anni ed è ben inserita nelle mete dello shopping.
Siamo presenti anche sui principali social dove abbiamo acquisito un discreto consenso.
Il negozio si trova a Cagliari, in via Sebastiano Satta n.64.
Focus di diritto tributario • Avv. Francesco Sanna
Trattamento fiscale degli omaggi natalizi
Come ogni anno le festività natalizie e di fine anno sono per le aziende l’occasione di consegnare degli omaggi ai propri clienti e ai dipendenti.
Ma quale è il trattamento fiscale a loro riservato?
Le spese sostenute per l’acquisto e distribuzione di omaggi durante il periodo delle festività natalizie possono assumere diversa natura reddituale a seconda che il bene venga ceduto ai clienti o ai collaboratori, o soggetti fiscalmente assimilati.
Gli oneri sostenuti per i regali natalizi distribuiti ai clienti sono deducibili:
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- interamente, se il valore unitario dei beni in omaggio destinati ad uno stesso soggetto non supera gli € 50,00;
- parzialmente, se, nell’esercizio di sostenimento della spesa nel rispetto dei limiti percentuali previsti dall’art. 108 TUIR, comma 2, il valore unitario dell’omaggio supera i 50,00 euro oppure se vengono erogate in omaggio prestazioni di servizi o titoli rappresentativi delle stesse (quali tessere per poter assistere a spettacoli, per entrare al cinema, ingressi a centri benessere, ecc.), poiché rientrano tra le cosiddette “spese di rappresentanza”.
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Dal periodo d’imposta successivo al 2015 sono state innalzate le soglie di deducibilità delle spese di rappresentanza.
Per determinare il valore unitario dell’omaggio consegnato, occorre fare riferimento al regalo nel suo complesso – esempio, intero cesto natalizio e non ai singoli beni che lo compongono – e al valore di mercato dell’intero bene.
In ordine ai regali natalizi erogati in favore dei dipendenti, il costo sostenuto dal datore di lavoro per l’acquisto di beni da destinare in omaggio ai dipendenti e ai soggetti assimilati (nonchè collaboratori) è deducibile dal reddito d’impresa secondo le norme relative ai costi per le prestazioni di lavoro.
Questa regola non si applica alle spese di istruzione, educazione, ricreazione, di assistenza sociale e di culto che sono deducibili dal reddito d’impresa nel limite del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente.
Per i “contribuenti minimi” la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34 del 2009 ha stabilito che le spese affrontate per l’acquisto di omaggi sono interamente deducibili nel periodo di sostenimento, sempre che il loro “valore unitario” sia pari o inferiore a € 50,00.
Se il bene supera detto valore, le relative spese sono deducibili quali spese di rappresentanza, secondo i criteri previsti dal D.M. del 19 novembre 2008.
Nell’ambito del regime forfettario non assumono alcuna rilevanza nella determinazione del reddito le spese per omaggi, poiché in tale regime il reddito imponibile è quantificato tramite l’applicazione del coefficiente di redditività previsto per la specifica attività svolta all’ammontare dei ricavi o compensi percepiti nel periodo d’imposta. Ciò significa che le spese eventualmente sostenute non sono deducibili analiticamente, essendo il loro ammontare predefinito nel coefficiente di redditività.
Negli ultimi anni è abitudine sempre più frequente quella di regalare omaggi sotto forma dei cosiddetti “buoni acquisto” o voucher, che consentono l’acquisto di beni/servizi negli esercizi convenzionati.
La disciplina IVA applicabile all’emissione, al trasferimento e al riscatto dei voucher è stata riformata con il D.Lgs. del 29 novembre 2018, n. 141, al fine di recepire le novità introdotte dalla direttiva 2016/1065/UE.
Secondo le nuove regole (in vigore per “buoni” emessi dopo il 31 dicembre 2018) i voucher sono definiti come strumenti che contengono l’obbligo di essere accettati come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi e che riportano sul supporto utilizzato o sulla relativa documentazione le informazioni necessarie a individuare i beni o servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori, incluse anche le condizioni generali del loro utilizzo.
Tra l’altro, la nuova disciplina distingue tra:
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- buoni “monouso”, se al momento dell’emissione risultano già noti tutti gli elementi che consentono di determinare il trattamento IVA applicabile all’operazione ad esso sottesa. In questo caso la cessione di beni o la prestazione di servizi si considera effettuata all’atto dell’emissione del “buono-corrispettivo”, nonché all’atto di ciascun trasferimento dello stesso antecedentemente al riscatto;
- buoni “multiuso”, se la disciplina applicabile, ai fini IVA, alla cessione di beni o alla prestazione di servizi cui il buono dà diritto non è nota al momento della sua emissione. In tale ipotesi, l’operazione si considera effettuata solo nel momento in cui il buono è riscattato, dando luogo ad una cessione di beni o una prestazione di servizi, seguendo le ordinarie regole di esigibilità dell’imposta ai sensi del D.P.R. n. 633/72, art. 6.
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Infine, si evidenzia come il trattamento fiscale riservato ai voucher ai fini delle imposte dirette non sia chiaro.
Difatti, nel caso in cui, ai fini delle imposte sui redditi, operasse la qualificazione come semplici documenti di legittimazione, il costo d’acquisto dei voucher potrebbe essere indeducibile, in quanto gli stessi non rientrano nella nozione di spese di rappresentanza fornita dal D.M. del 19 novembre 2008.
Di converso, se il “buono”, dovesse essere qualificato come titolo rappresentativo di un bene, non sorgerebbero dubbi circa la sua deducibilità.
In ultimo, nel caso in cui i “buoni acquisto” siano concessi ai dipendenti, gli stessi costituiscono fringe benefit per quest’ultimi e, per effetto del comma 3-bis, articolo 51 TUIR, i relativi costi rientrerebbero tra quelli deducibili per la società.
Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu
Acquisti e truffe online
Oggigiorno, lo shopping online rappresenta una modalità di acquisto ormai consolidata e sempre più in espansione, che consente di selezionare con semplicità i prodotti desiderati per poi riceverli comodamente a casa propria, talvolta, con notevole risparmio in termini di tempo e di denaro.
Tuttavia, nonostante sia buona regola informarsi correttamente sul prodotto da acquistare, nonché affidarsi sempre a piattaforme di e-commerce ufficiali, può capitare che lo sfortunato acquirente, pur avendo pagato il prezzo, non si veda consegnare la merce acquistata e che il venditore divenga all’improvviso irrintracciabile.
La Suprema Corte di Cassazione ha qualificato tale condotta nell’ambito del reato di truffa, trattandosi di un’ipotesi di cd. truffa contrattuale.
A tale riguardo, l’art. 640, primo comma, c.p. prevede, infatti, che: “Chiunque, con artifizi e raggiri, inducendo taluno in errore procura a sé o ad altri un profitto ingiusto con altrui danno, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 51 a 1.032 euro”.
In particolare, secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, integra il reato di cui all’art. 640 c.p. la condotta di chi, presentandosi falsamente come venditore, induca in errore la controparte che, attirata dall’apparente e artificiosa convenienza dell’acquisto, versa la somma di denaro richiesta, senza mai ricevere il bene desiderato, né tanto meno spiegazioni in ordine all’accaduto.
In questo caso, infatti, l’inadempimento contrattuale non è che l’effetto del proposito fraudolento del venditore maturato fin dall’inizio -ovvero, dal momento dell’offerta online del bene oggetto di compravendita-, poiché, valutata nel complesso la condotta perpetrata, può escludersi che il venditore abbia mai avuto la volontà di consegnare il bene per il quale ha ricevuto integralmente o anche solo un acconto sul prezzo pattuito, che configura, quindi, un profitto ingiusto.
Peraltro, giova precisare ulteriormente che, in taluni casi, nella truffa attuata mediante le vendite online può configurarsi anche la circostanza aggravante della minorata difesa.
Quindi, che cosa si intende per “minorata difesa”?
Partendo dal riferimento normativo, occorre precisare che il già citato art. 640 c.p., al secondo comma, n. 2 bis, prevede, altresì, che: “La pena è della reclusione da 1 a 5 anni e della multa da 309 a 1.549 euro, se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’art. 61, n. 5”.
Ebbene, la circostanza disciplinata nell’art. 61, n. 5, c.p., poc’anzi espressamente richiamata, prevede un aumento della pena nel caso in cui l’agente abbia profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.
Venendo al caso che ci occupa, i Supremi Giudici, partendo dal presupposto che la compravendita online richieda un particolare affidamento dell’acquirente alla buona fede della controparte, posto che le trattative si svolgono interamente a distanza e senza che sia possibile visionare il prodotto, né verificarne la effettiva qualità, hanno ritenuto configurabile la circostanza aggravante della minorata difesa, allorché siano soddisfatti taluni requisiti.
Invero, dinnanzi alla fattispecie di vendita online di prodotti, la condizione di minorata difesa parrebbe ravvisabile nella distanza intercorrente tra il venditore e l’acquirente che gestiscono la trattativa interamente via web.
È di tutta evidenza, infatti, che l’acquirente si trova in una posizione di particolare vulnerabilità, principalmente dovuta dal fatto che egli, essendo costretto a fare esclusivo affidamento sulle immagini, non possa verificare la qualità del prodotto, né effettuare alcun previo controllo in ordine all’identificazione del contraente.
D’altra parte, si esclude la sussistenza di tale condizione di debolezza nel caso in cui le trattative, pur avendo preso avvio attraverso la piattaforma telematica, invece, proseguano “in presenza”, ossia mediante plurimi contatti telefonici o incontri tra le parti, poiché in questo caso verrebbe meno l’elemento caratterizzante della distanza e, quindi, della minorata difesa.
Tanto precisato, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1085 del 13 gennaio 2021, conclude che: “Sussiste l’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore del reato e delle quali egli, ai sensi dell’art. 61, n. 5, cod. pen., abbia approfittato, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la vendita di prodotti online, poiché, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova la vittima, che di norma paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui, invece, si trova l’agente, determina una posizione di maggior favore di quest’ultimo, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta”.
Focus di diritto civile • Avv. Viola Zuddas
Cosa fare in caso di regalo non gradito?
Specialmente durante le feste può capitare di ricevere regali che non siano di proprio gradimento e, in questi casi, spesso ci si chiede se sia possibile cambiare quanto ricevuto e, eventualmente, cosa si debba fare.
Per rispondere a questi interrogativi è necessario precisare, anzitutto, che il luogo in cui si è fatto l’acquisto assume un ruolo determinante in ordine alla disciplina da applicare che, chiaramente, si riflette anche sui rimedi riconosciuti in favore degli acquirenti.
Al riguardo, è importante distinguere tra acquisti fatti in un locale commerciale (ovvero in negozio) ed acquisti fatti a distanza (ad esempio, online, per telefono, eccetera) o fuori da un locale commerciale (ad esempio, per strada, nelle bancarelle).
Quanto ai primi, cioè quelli effettuati in un negozio, l’acquirente non ha diritto di recedere dal contratto d’acquisto per restituire al negoziante quanto comprato ed ottenere, così, il rimborso del prezzo già corrisposto.Avv. Viola Zuddas, Civilista
In questa ipotesi, quindi, non è riconosciuto al consumatore l’esercizio del diritto di recesso dal contratto poiché egli ha acquistato un bene che, comunque, ha avuto la possibilità di visionare di persona e di scegliere con consapevolezza.
In genere, però, il negoziante – per accontentare il cliente e nell’ottica, quindi, di una sua fidelizzazione – può accordare la possibilità di effettuare il cambio della merce acquistata che non sia di gradimento, attraverso l’emissione di un cosiddetto “buono” dal valore corrispondente al prezzo pagato per il bene comprato.
Quanto ai secondi, cioè quelli fatti a distanza o fuori da un locale commerciale, il Legislatore (anche dietro la spinta dell’UE) ha predisposto delle specifiche garanzie, contenute nel Codice del Consumo, per assicurare un livello più elevato di tutela nei confronti dell’acquirente data la peculiarità delle condizioni alle quali vengono effettuati questo tipo di acquisti.Avv. Viola Zuddas, Civilista
Difatti, il Legislatore ha appositamente previsto che il venditore – prima che venga perfezionato l’acquisto – debba fornire all’acquirente tutte le informazioni necessarie sul diritto di recesso, in maniera tale che questi abbia piena e certa consapevolezza dei propri diritti.
Inoltre, in tali ipotesi, l’acquirente ha 14 giorni di tempo per recedere dal contratto senza dover fornire alcuna motivazione al venditore né sostenere costi diversi da quelli già sopportati.
Tale termine decorre dal momento in cui il bene è stato acquistato o, nel caso di vendite a distanza, dal momento in cui il bene è stato consegnato.
Quanto fin qui precisato si applica ai soli casi in cui il bene non sia di gradimento da parte di chi lo riceve, e presuppone che il regalo sia comunque privo di vizi e di difetti.
Al contrario, il Legislatore ha previsto ulteriori tutele nell’ipotesi in cui il bene acquistato non sia conforme al contratto perché, ad esempio, non è idoneo all’uso tipico al quale servono altri beni del medesimo genere, o è difforme alla descrizione fatta dal venditore o non possiede le qualità del bene che il venditore ha presentato.
Ebbene, in dette ipotesi l’art. 130 Cod. Cons. prescrive che l’acquirente ha il diritto ad ottenere il ripristino o la sostituzione del bene, a spese del venditore, o la riduzione adeguata del prezzo o, infine, la risoluzione del contratto.
Tali rimedi, cui si può fare ricorso, rappresentano delle garanzie per il consumatore – acquirente che vanno ad aggiungersi a quelle già previste dal Codice Civile e, pertanto, offrono una tutela rafforzata in favore del consumatore che, in questi casi, è il contraente debole del rapporto.
Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus
Iva e vendite a distanza: le nuove regole dell’e-commerce
Le festività natalizie, si sa, rappresentano quel momento dell’anno in cui i consumatori non badano a spese.
Negli ultimi anni e, in particolare, con l’avvento della pandemia mondiale, delle sue varianti ed annesse restrizioni negli spostamenti, il modo di acquistare è stato totalmente rivoluzionato.
Infatti, se prima la corsa ai regali si traduceva nelle lunghe code alle casse dei negozi, ora il consumatore può (e preferisce) soddisfare le proprie esigenze comodamente dal divano di casa, ottimizzando tempi e costi.
Grazie al commercio elettronico è possibile concludere contratti d’acquisto tramite l’utilizzo di strumenti telematici. Ciò consente alle imprese di commercializzare beni e servizi, nonché distribuire contenuti digitali e di effettuare operazioni di carattere finanziario attraverso Internet.
Il commercio elettronico, meglio noto anche come e-commerce, consente di effettuare una svariata gamma di attività, e comprende tanto il cd. “commercio elettronico diretto” – che consiste nella cessione e consegna di un bene digitale per via telematica (ad esempio tramite download) -, quanto il cd.“commercio elettronico indiretto” – laddove si ha cessione di un bene fisico in via telematica ma l’esecuzione del contratto avviene mediante la tradizionale consegna del bene materiale al consumatore finale a cura del fornitore o per suo conto.
Ora, sebbene il commercio elettronico e la vendita fuori dei locali commerciali offrano numerosi vantaggi, al contempo comportano svariati obblighi espressamente definiti dalle norme dell’UE.
Le operazioni soggette alla normativa europea sono i contratti di vendita e di prestazione di servizi conclusi senza che il cliente sia fisicamente presente quali: accordi contrattuali su Internet, per telefono, via e-mail, o contratto standard. In ogni caso, trattasi sempre di situazioni in cui il cliente non si trova fisicamente nei locali commerciali dell’impresa.
Occorre sottolineare che, tuttavia, le norme sulla vendita a distanza online non riguardano le operazioni afferenti, ad esempio, ai seguenti settori:
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- servizi sociali e di assistenza sanitaria
- giochi d’azzardo
- servizi immobiliari e di locazione di alloggio
- viaggi tutto compreso, multiproprietà e determinati servizi per le vacanze, ai quali si applicano norme specifiche
- trasporto di passeggeri (tranne alcuni casi specifici)
- prodotti alimentari e bevande consegnati a scadenze regolari a domicilio o sul luogo di lavoro del cliente
- prodotti venduti ai distributori automatici.
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Tanto chiarito, è qui interessante rilevare che, proprio con riguardo alla vendita online indiretta, dal 1 luglio 2021 sono entrate in vigore le nuove misure comunitarie sul commercio elettronico (c.d. “VAT e-commerce package”).
La nuova normativa presenta aspetti di dettaglio complessi la cui trattazione non può essere svolta in maniera esaustiva in questo breve contributo.
Cercheremo, tuttavia, di analizzarne i tratti principali e, in particolare, l’impatto di tali novità legislative sul consumatore finale.
Adeguamento della normativa italiana sull’IVA a quella comunitaria
In 15 giugno 2021 è stato pubblicato in G.U. il D.Lgs. n. 83 del 25 maggio 2021 che recepisce la Direttiva c.d. e-commerce n.2017/2455 Ue, il quale ha apportato sostanziali modifiche ed integrazioni sia nel D.P.R. n. 633/1672 sia nel D.L. n. 331/1993.
Il recepimento della direttiva ha fatto si che anche l’Italia adeguasse la sua normativa IVA a quella europea.
Così facendo, lo Stato ha finalmente consentito agli operatori nazionali di beneficiare delle semplificazioni adottate a livello Europeo per le vendite a distanza di beni e servizi verso consumatori finali UE (e-commerce indiretto).
In particolare, il decreto, recependo la Direttiva e-commerce,ha introdotto, tra le altre, la seguente novità: vengono abolite le soglie previste per le vendite a distanza (comprese tra i 35.000 ed i 100.000 euro) ed individuata un’unica soglia comunitaria uguale per tutti gli Stati membri, pari a 10.000 euro.
Secondo la previgente normativa, i singoli paesi fissavano delle soglie di riferimento: come tale, se gli acquisti totali effettuati dalle persone di un determinato stato non la superavano, il paese fornitore pagava l’imposta.
La nuova normativa, invece, introduce, come anzidetto, una soglia unica a livello europeo pari a 10.000 euro, al di sopra della quale si paga l’IVA nello stato di destinazione del bene.
Dunque, ricapitolando:
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- fino alla soglia minima annua di 10.000 euro, l’IVA viene applicata nel paese da cui viene spedito il bene/prodotto;
- oltre la soglia minima annua di 10.000 euro si applica l’IVA del paese di destinazione.
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Pertanto, il principio che ora trova applicazione è quello secondo cui l’Iva va applicata secondo il principio di destinazione dei beni o di tassazione nel Paese del committente.
Tutele per l’acquirente
Ciò detto, una volta concluso il contratto “a distanza”, se questo non prevede diversamente, il venditore è tenuto a consegnare la merce non oltre 30 giorni dalla conclusione del contratto stesso.
In caso di impossibilità alla consegna entro 30 giorni o entro la scadenza concordata, il cliente ha diritto di richiedere la consegna entro una scadenza successiva e, laddove questa non venisse rispettata, il cliente può recedere dal contratto e chiedere un risarcimento.
Tuttavia, vi sono delle eccezioni: laddove il termine di consegna sia essenziale (ad esempio deve essere consegnato un vestito da sposa), il cliente può recedere dal contratto immediatamente. In tal caso, egli ha diritto all’integrale rimborso se la merce non viene consegnata entro la data concordata.
Ma chi risponde degli eventuali danni alla merce?
A tal riguardo, occorre sottolineare che, in caso di danno arrecato alla merce durante la consegna, il venditore sarà considerato responsabile, ad eccezione dell’ipotesi in cui il cliente provvede direttamente alla consegna incaricando un trasportatore.
D’altro canto, il venditore sarà sempre responsabile della merce trasportata da un vettore da lui incaricato.