L’HACCP alla base della sicurezza alimentare
L’HACCP acronimo di hazard analisys critical control point, in italiano analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo, non è altro che una metodologia costruita e sviluppata durante l’era spaziale (anni ’70) per poter proteggere chi consuma bevande e alimenti.
Tutto, infatti, parte da protocolli generati per tutelare la salute degli astronauti e conferire loro delle nozioni che permettessero di conservare e manipolare adeguatamente gli alimenti eliminando così i più comuni rischi generati non solo da una possibile contaminazione legata all’operatore (colui che ha a che fare con l’alimento), ma anche alla conservazione -quindi rispettare tempi e temperature.
L’HACCP, oltre ad imporre delle regole comportamentali, mette in evidenza come correggere i problemi che potrebbero presentarsi lungo il percorso dei prodotti commestibili. Federica Adamo, Consulente e formatore
Ciò che rappresenta il pericolo nell’alimento o nella bevanda è un agente che può essere già presente o che per contatto va a contaminare ciò che consumiamo: può essere, ad esempio, un agente microbiologico (ad esempio un batterio, un virus, un parassita o una muffa), un agente chimico (ad esempio una sostanza chimica tipo pesticida o un banale detergente usato per la pulizia delle superfici) e/o un agente fisico (ad esempio una scheggia o una pietrolina).
L’HACCP ci fornisce delle regole ben precise di comportamento, conservazione e manipolazione degli alimenti, cosicché questi possano essere consumati senza arrecare alcun tipo di danno.
L’HACCP, quindi, consente il controllo completo della filiera alimentare dal produttore primario (contadino e allevatore) al trasportatore, al grossista; dalla manipolazione alla conservazione, alla vendita ed alla somministrazione: una catena che in ogni fase va attentamente valutata e documentata così da non perdere mai, e poi mai, quello che è il controllo su alimenti e bevande, per consentire il consumo di alimenti sani per tutti!
Lo scopo è appunto quello di ottenere alimenti sani per tutti: il consumatore finale deve avere la garanzia su ciò che consuma e questa è conferita dalla metodologia che tutti andranno ad applicare.Federica Adamo, Consulente e formatore
Come già precisato, nasce negli anni ’70 negli Stati Uniti d’America e poco alla volta va a diffondersi in altri paesi: visto e considerato che i risultati iniziano ad arrivare, nel 2004 l’Unione Europea con il “pacchetto igiene” inizia a normare e delineare i punti da tenere sotto controllo della filiera, ma non solo infatti indica anche come l’Operatore Alimentarista deve comportarsi (ciò che deve o non deve fare).
L’operatore alimentarista che fino agli anni ’90 non possedeva nozioni su come comportarsi, ma veniva solamente controllato il suo stato di salute (libretto sanitario poi sospeso), ora si ritrova a fare i conti con la formazione.
La formazione diventa obbligatoria così da avere operatori consapevoli di ciò che avviene e di ciò che potrebbero causare.
Questa diventa un’arma importantissima contro il diffondersi di malattia di origine alimentare, le cosiddette “tossinfezioni” che causano patologie non solo gastrointestinali, ma a volte parecchio gravi come cecità, artrite reattiva, sindrome emolitica uremica, cancro, aborto ed altri fino ad arrivare anche alla morte.
Questo per evidenziare che sicuramente non è il mal di pancia la nostra preoccupazione primaria.
La formazione affiancata da un manuale di autocontrollo dell’attività diventa quindi l’arma per contrastare le tossinfezioni anche se, purtroppo, ancora oggi molti operatori sottovalutano l’importanza della conoscenza e non considerano quest’aspetto, che invece accompagna la consapevolezza di ciò che si fa, e per questo è obbligatorio.
La formazione è obbligatoria ai sensi del REG CE 852/04 e, precisamente, il D.Lgs 197/2003 prevede delle sanzioni in caso di mancata formazione che ovviamente servirebbero da deterrente ma, purtroppo, sono ancora troppi gli operatori che provano a sottrarsi ai loro doveri fino a che non vi sia l’intervento dell’apposito organo di vigilanza.
Federica Adamo, Consulente e formatore
Sono laureata in Tossicologia dell’alimento, dell’ambiente e del farmaco, oltre ad avere i titoli di formatore e di RSPP (responsabile del servizio di protezione e prevenzione). Sono consulente e formatore in materia di sicurezza sul lavoro e in igiene degli alimenti.
Amo relazionarmi con tutte le figure, creare relazioni di lavoro durevoli e di supporto.
La tecnologia, soprattutto ora visto i tempi complicati da diversi aspetti, ci aiuta nel continuare ad essere uniti, collegati ed a interagire anche a distanza.
Servizio di sostegno alle imprese, è nato per aiutare e supportare nano, micro, piccole, medie e grandi imprese. Vi guida, indicandovi le soluzioni più idonee alle vostre necessità, fornendovi assistenza vera e propria a 360 gradi su numerosi fronti.
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- Consulenza e disbrigo pratiche per gestione Ispettive da parte di organi di vigilanza
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- Docente/formatore HACCP
- Consulente HACCP relativamente alla gestione ed analisi di prodotti alimentari
- Affiancamento e stesura nel manuale HACCP per tutte le tipologie di attività
Focus di diritto civile • Avv. Francesco Sanna
La figura dell’operatore del settore alimentare (OSA)
L’operatore del settore alimentare è una figura di primaria importanza nell’assicurare le adeguate misure di sicurezza lungo tutta la filiera alimentare.
Nello specifico, come da definizione riportata nel Regolamento (CE) n. 178/2002, l’OSA è «la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo»
Quindi, in buona sostanza, gli operatori del settore alimentare sono quei soggetti deputati alla elaborazione di sistemi di sicurezza atti a garantire l’approvvigionamento e la sicurezza dei prodotti; così da assicurare il reperimento immediato dell’alimento e di tutte le informazioni dello stesso.
Gli obblighi dell’OSA.
Il Regolamento Europeo n. 178/2002 stabilisce i principi della legislazione alimentare, istituendo altresì l’autorità europea per la sicurezza alimentare e le relative procedure da applicare nel campo della sicurezza alimentare.
Nel considerando n. 30 viene data un’anticipazione degli obblighi per gli OSA. Difatti, essi vengono descritti come coloro che sono (devono essere) in grado di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e garantire la sicurezza dei prodotti forniti.
In estrema sintesi, gli articoli 17, 18 e 29 stabiliscono che gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono:
- garantire che, nelle imprese da essi controllate, gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione, e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte.
- essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime. Di conseguenza, dovranno anche disporre di sistemi e procedure che permettano di mettere a disposizione tali informazioni (quando richieste) alle autorità competenti;
- disporre e predisporre sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti. Le informazioni al riguardo sono messe a disposizione delle autorità competenti che le richiedano ed ecco il motivo del perché alimenti e mangimi, immessi sul mercato, devono essere adeguatamente etichettati o identificati per agevolarne la rintracciabilità.
Ancora, l’articolo 19, con specifico riferimento agli alimenti, stabilisce che gli OSA devono:
- avviare le procedure per il ritiro dell’alimento da loro importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito (e non più sotto il loro controllo) se ritengono che esso non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti. Dovranno, inoltre, informarne le autorità competenti. Lo stesso vale, nella casistica appena descritta, anche per gli Operatori responsabili di attività di vendita al dettaglio o distribuzione che non incidono sul confezionamento, etichettatura, sicurezza o integrità dell’alimento;
- se il prodotto sopra descritto può essere arrivato fino al consumatore, gli OSA sono tenuti a informarlo del motivo del ritiro e, se necessario, a richiamare i prodotti già forniti (in mancanza di misure efficaci per ottenere un livello elevato di tutela della salute);
- informare immediatamente le autorità competenti se ritengono che un alimento da essi immesso sul mercato possa essere dannoso per la salute;
- collaborare con le autorità competenti per i provvedimenti volti a evitare o ridurre i rischi provocati da un alimento da loro fornito.
Altro riferimento legislativo importante, in tema di igiene dei prodotti alimentari, è il Regolamento CE n. 852/2004.
Il Capo II è focalizzato esclusivamente sugli obblighi degli OSA.
L’articolo 3 sancisce gli obblighi generali, secondo i quali gli operatori devono garantire che tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti, sottoposte al loro controllo, soddisfino i pertinenti requisiti di igiene stabiliti nel regolamento stesso.
L’articolo 4, invece, elenca le varie misure igieniche che gli OSA devono adottare.
- rispetto dei criteri microbiologici relativi ai prodotti alimentari;
- adozione delle procedure necessarie a raggiungere gli obiettivi per conseguire gli scopi del regolamento;
- rispetto dei requisiti in materia di controllo delle temperature degli alimenti;
- mantenimento della catena del freddo;
- campionature e analisi.
Infine, la normativa in parola prevede che gli OSA devono procedere alla notifica sanitaria e alla registrazione di quegli stabilimenti all’interno dei quali viene svolta una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione, trasporto, magazzinaggio, somministrazione e vendita di prodotti del settore alimentare.
Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu
La frode alimentare nel codice penale
Quando si parla di “frode alimentare” si fa riferimento genericamente alla produzione e alla commercializzazione di alimenti non conformi alle norme vigenti.
Si tratta di una vasta gamma di condotte che possono riguardare, ad esempio, la vendita o la somministrazione di prodotti surgelati come se fossero freschi, l’aggiunta di sostanze non autorizzate alla carne o al pesce al fine di ravvivarne il colore, la vendita di alimenti di qualità scadente, contaminati o mal conservati, nonché la contraffazione di prodotti del Made in Italy che in maniera ingannevole riportano etichette DOP e IGP, ma che invece sono di provenienza estera e, pertanto, possono indurre in errore l’ignaro consumatore.
Ebbene, in tema di sicurezza degli alimenti, oltre alla legislazione speciale, il Codice penale garantisce sia la tutela della salute pubblica che del consumatore.
A tal fine, nella nozione di “frode alimentare” è opportuno operare una distinzione tra la cd. frode di natura sanitaria e la cd. frode di natura commerciale.
Nella specie, per “frode sanitaria” si intendono tutte quelle condotte volte a modificare e ad alterare un alimento rendendolo pericoloso per la salute.
Le predette ipotesi sono ricomprese tra i “Delitti contro la salute pubblica” del codice penale, che disciplina diverse fattispecie, ovvero: l’avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439), l’adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440), nonché il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate (art. 442) e il commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444).
Mentre, si configura la “frode commerciale” nel caso in cui venga messo in commercio un prodotto attraverso informazioni false o ingannevoli, riguardanti la qualità, quantità o provenienza dello stesso, in conseguenza delle quali l’acquirente riceve un prodotto che non è di per sé nocivo, ma risulta comunque diverso rispetto a quello dichiarato.
Tali fattispecie sono collocate tra i “Delitti contro l’industria e il commercio” e vanno dalla frode nell’esercizio del commercio (art. 515), alla vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516), nonché alla vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517) e alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517 quater).
Casistica: cosa accade al ristoratore che non indica la presenza di prodotti surgelati?
Nell’ambito delle frodi alimentari, tra le tante fattispecie che senz’altro si verificano più di frequente, vi è il caso in cui il ristoratore ometta di indicare sul menù del proprio locale che le pietanze contengano ingredienti surgelati anziché freschi.
Non vi è dubbio che la detenzione all’interno delle cucine dei ristoranti di prodotti surgelati e, quindi, diversi da quelli indicati nel menù, sia riconducibile al delitto di frode nell’esercizio commerciale, previsto nell’art. 515 c.p.
Invero, la norma in esame prevede che: “Chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065”.
Difatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, a prescindere dall’inizio di una vera e propria contrattazione con il singolo cliente, nonché dalla effettiva somministrazione, il solo detenere prodotti diversi rispetto a quelli indicati nel menù è atto idoneo a dimostrare inequivocabilmente la volontà di consegnare agli ignari avventori i predetti alimenti.
Si tratta, quindi, di una condotta suscettibile di integrare la fattispecie di tentata frode in commercio, anche alla luce del fatto che il menù di un ristorante messo a disposizione della clientela deve considerarsi a tutti gli effetti una proposta contrattuale e manifesta l’intenzione del ristoratore di offrire i prodotti indicati nella lista.
In definitiva: “Costituisce il tentativo del delitto di frode in commercio anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande che determinati prodotti sono congelati, giacché il ristoratore ha l’obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori” (si vedano: Cass. pen., sentenza n. 13726 del 2019 e Cass. pen., sentenza n. 4735 del 2018).
Focus di diritto civile • Avv. Viola Zuddas
Il danno da intossicazione alimentare
Da una decina d’anni sono state introdotte in Italia nuove regole, rivolte principalmente agli operatori del settore alimentare, volte a disciplinare in maniera più compiuta la pratica dell’etichettatura dei prodotti alimentari e le dichiarazioni nutrizionali dei singoli prodotti.
In particolare, i nuovi requisiti indicati dall’Unione Europea – e, appunto, recepiti anche in Italia – sono atti a garantire un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti, affinché ognuno di noi abbia maggiore consapevolezza quando acquista un prodotto od un genere alimentare.
Ultimamente, quindi, si è posta un’attenzione particolare nei confronti dei consumatori che si sostanzia, principalmente, nel riconoscimento del diritto alla corretta informazione sulla tipologia di alimenti che si acquistano.
Tale discorso, invero, è applicabile anche nel campo della ristorazione, in cui è necessario che i piatti serviti ai clienti siano conformi a quanto riportato nel menu.
Al riguardo, deve rilevarsi che in ogni menu dev’essere presente l’elenco degli allergeni, cioè quelle quattordici sostanze (come cereali contenenti glutine, crostacei, uova, eccetera) che possono scatenare reazioni immuno-mediate.
Devono, poi, essere indicate anche tutte le altre informazioni che consentono al cliente di scegliere con maggiore consapevolezza i piatti da consumare, come, ad esempio, quelle relative a prodotti surgelati.
Il menu, infatti, rappresenta la proposta contrattuale che viene rivolta al cliente e, quindi, è necessario che ogni piatto servito sia effettivamente conforme a quanto in esso indicato.
In caso contrario, il cliente ha diritto, ai sensi degli artt. 1218 c.c. e 130 del Codice del Consumo, ad ottenere la sostituzione del piatto con quello ordinato, la riduzione del prezzo o, ancora, la risoluzione del contratto di ristorazione.
Cosa accade se il piatto ordinato causa al cliente un’intossicazione alimentare?
Sul piano civile, il ristoratore potrebbe rispondere ai sensi dell’articolo 2043 c.c. di quanto occorso in danno del cliente, purché questi riesca a fornire rigorosa dimostrazione del fatto che tale condizione derivi con certezza da un alimento assunto presso il ristorante o la tavola calda.
A tal fine, il cliente è tenuto a produrre lo scontrino fiscale o la ricevuta del locale e, soprattutto, il referto rilasciato dal pronto soccorso o da un medico specialista che l’abbia avuto in cura e dal quale risulti l’intossicazione, appunto.
Ebbene, il Giudice, nel valutare la situazione nel suo complesso, dovrà tenere in considerazione il nesso causale tra lo stato delle pietanze somministrate ed il malessere patito dal cliente, di modo che quest’ultimo si presenti come conseguenza altamente probabile e verosimile del primo.
Inoltre, il Giudice potrà anche porre l’attenzione su altri elementi come, ad esempio, eventuali carenze in materia di norme igieniche come codificate secondo il sistema HACCP.
Sul punto, infatti, è importante richiamare quanto già riportato dalla Dott.ssa Federica Adamo nel suo articolo in ordine alla contaminazione degli alimenti.
Questa viene classificata in tre tipologie distinte a seconda dei fattori che la possono causare.
Nello specifico:
- contaminazione fisica: causata dalla presenza di corpi estranei quali capelli, schegge, frammenti di vetro o di altri materiali;
- contaminazione biologica: causata dalla presenza di batteri, parassiti, virus;
- contaminazione chimica: causata da materiali non idonei all’imballaggio, pesticidi, detergenti e altre sostanze chimiche.
Pertanto, qualora ricorrano i presupposti analizzati e quelli espressamente prescritti dalla legge, il ristoratore potrà essere condannato al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal cliente.
Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus
Il controllo sugli operatori alimentari secondo la normativa UE
La politica di sicurezza alimentare dell’Unione europea (UE) ha come obiettivo principale quello di proteggere i consumatori, garantendo al contempo il regolare funzionamento del mercato unico.
La legislazione europea prevede un ampio corpus di norme che disciplina la sicurezza nei settori dell’igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi, della salute animale e vegetale e della prevenzione della contaminazione degli alimenti da sostanze esterne, oltre che disciplinare l’etichettatura dei generi alimentari e dei mangimi.
Il fine, dunque, è quello di garantire un elevato livello di sicurezza in tutte le fasi del processo di produzione e distribuzione dei prodotti alimentari commercializzati nell’UE, siano essi prodotti all’interno dell’Unione o importati da paesi terzi non UE.
Sul punto, un primo passo è stato compiuto con l’adozione del Regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
Successivamente, come anche rilevato dalla Dott.ssa Adamo nell’approfondimento dal titolo “L’HACCP alla base della sicurezza alimentare”, nell’aprile 2004, è stato adottato il Regolamento n. 853/2004, che introduce un nuovo quadro legislativo sull’igiene dei prodotti alimentari.
Detto Regolamento stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale e istituisce un complesso quadro comune per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano, ivi comprese norme specifiche per carni fresche, molluschi bivalvi nonché latte e prodotti lattiero-caseari.
Come evidenziato, tale pacchetto assegna il controllo ,e dunque, la responsabilità per l’igiene dei prodotti alimentari direttamente ai vari operatori del settore della catena alimentare attraverso un sistema di autoregolazione, utilizzando il metodo HACCP – «analisi di rischio e punti critici di controllo».
A questo punto, tuttavia, è spontaneo porsi una domanda: chi, a sua volta, è deputato a monitorare gli operatori del settore della catena alimentare?
Il controllo sui Controllori
In particolare, è il Regolamento n. 2017/625 che si occupa di disciplinare i suddetti controlli.
Più nel dettaglio, l’art. 4 del Regolamento, “Designazione delle autorità competenti”, prevede che per ciascuno dei settori disciplinati dalla normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, ossia alimenti, mangimi, salute e benessere degli animali, sanità delle piante, prodotti fitosanitari, produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici, siano gli Stati membri a designare le autorità competenti a cui essi conferiscono la responsabilità di organizzare o effettuare controlli ufficiali e altre attività ufficiali.
Nella specie , a livello nazionale, le Autorità Competenti chiamate a dare attuazione al Regolamento sono definite nell’articolo 2 del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27: il Ministero della salute, le Regioni, le Provincie autonome di Trento e Bolzano e, le Aziende sanitarie locali, che compongono il cd. Servizio sanitario nazionale (SSN), sono le Autorità competenti designate, ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento (UE) 2017/625, a pianificare, programmare, eseguire, monitorare e rendicontare i controlli ufficiali e le altre attività ufficiali nonché procedere all’adozione delle azioni esecutive previste dagli articoli 137 e 138 dello stesso Regolamento, e ad accertare e contestare le relative sanzioni amministrative nei predetti settori.
I regolamenti comunitari stabiliscono dunque che le autorità competenti di ogni Stato membro effettuino attività di ispezione e di audit presso gli stabilimenti che producono alimenti, al fine di verificarne la conformità alle disposizioni normative.
Nella specie, al fine di ottimizzare i controlli presso tali stabilimenti, le autorità regionali effettuano una pianificazione dei controlli e redigono un proprio piano regionale, secondo le direttive fornite dall’autorità centrale, ossia Ministero della salute, e sulla base delle realtà locali.
Tutti gli stabilimenti che operano nel settore alimentare, dunque, sono soggetti a controlli della loro attività produttiva o altrimenti, senza preavviso, da parte dell’autorità competente, che stabilisce la frequenza dei controlli sulla base della valutazione dei rischi, nelle ipotesi in cui si verifichi una situazione di pericolo per cui è necessario di effettuare un controllo.
Per concludere, nell’ipotesi in cui dai controlli effettuati emergano evidenti situazioni di “non conformità” verrà richiesto all’operatore del settore di porre rimedio attraverso l’adozione di un piano d’azione o, in casi ben più gravi, laddove vengano rilevati illeciti di natura penale, si procederà con la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria.