In linea di principio, le ipotesi di responsabilità medica astrattamente ipotizzabili nella cura dei malati di COVID-19 non differiscono da quelle nelle quali possono generalmente incorrere i sanitari impegnati a contrastare una qualsiasi altra patologia infettiva e non
Tuttavia, l’attuale emergenza epidemica ha imposto il confronto con elementi di criticità fino ad oggi sconosciuti, quali: il confrontarsi con un virus e con una malattia ancora oggi non conosciuti appieno e, purtroppo, di facile e veloce diffusione; la smisurata e improvvisa quantità di malati si è rivelata superiore rispetto alla disponibilità delle risorse necessarie ad affrontarla, dai dispositivi di protezione individuale agli apparecchi di ventilazione forzata ai posti di terapia intensiva; l’insufficienza di sanitari specializzati ha determinato le strutture a far ricorso a medici appartenenti ad altre specializzazioni, che si sono così trovati ad operare in campi fuori dalle proprie competenze e per giunta senza copertura assicurativa.
Alla luce del quadro appena delineato, gli operatori del diritto hanno fin da subito evidenziato la possibile nascita del problema di una abnorme ed ingiustificata esposizione giudiziaria in danno del personale sanitario. Tant’è che erano state presentate varie proposte di emendamento del decreto “Cura Italia”, le quali avevano come fine ultimo quello di introdurre norme specifiche atte a limitare le fattispecie di responsabilità medica per eventi avversi alla salute dei pazienti colpiti dal COVID-19.
Con il ritiro di detti emendamenti la questione è rimasta irrisolta e ad oggi vi sono sostanzialmente due correnti di pensiero: una secondo la quale il nostro ordinamento è già strutturato in modo da evitare gli eccessi paventati e l’altra a mente della quale sarebbe invece opportuno intervenire con una normativa ad hoc.
In ordine alla tematica in parola pare opportuno soffermarsi sulla portata dell’art. 2236 c.c.
L’articolo 2236 c.c., rubricato ‹‹Responsabilità del prestatore di opera››, prevede una limitazione di responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave per il prestatore d’opera professionale che si sia trovato ad affrontare «problemi tecnici di speciale difficoltà» nell’esecuzione della prestazione. Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista
La norma in analisi impone, quindi, di valutare la colpa del prestatore d’opera alla luce della particolare difficoltà della prestazione nel caso concreto, costituendo così, da un lato, una specificazione della più generica nozione di diligenza professionale, di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., e, dall’altro lato, un bilanciamento tra le opposte esigenze di non mortificare l’iniziativa del professionista col timore di ingiustificate rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso.
In virtù delle considerazioni testé esposte diversi interpreti considerano il dettato di cui all’articolo 2236 c.c. quale vero e proprio argine alla proliferazione delle azioni giudiziarie contro i sanitari per addebiti da responsabilità medica nel frangente del COVID-19.
Ad ogni modo, a prescindere dall’opportunità di un tale richiamo normativo, è principio generale quello secondo cui non esiste colpa ove si ritenga che l’agente non potesse tenere una condotta difforme da quella effettivamente adottata. Il concetto di inesigibilità, del resto, costituisce da sempre il limite di imputazione della responsabilità giuridica.
In buona sostanza, calando tali principi al particolare momento storico che viviamo, si tratta di valutare se fosse esigibile, da parte degli operatori e/o della struttura sanitaria, un contegno diverso da quello tenuto nel caso concreto, in termini di impegno professionale, di disponibilità delle risorse, di previsione dell’assetto organizzativo: il tutto alla luce dell’incontestabile eccezionalità dell’evento infettivo che il nostro Sistema Sanitario Nazionale si è trovato ad affrontare. Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista
E allora, stabiliti i termini della questione, è verosimile ritenere che risulterà assai arduo il riconoscimento giudiziale di una ipotesi di colpa sanitaria per vicende cliniche connesse al coronavirus, perciò il problema della responsabilità di medici e ospedali coinvolti nella lotta all’epidemia è destinato ad autolimitarsi, e troverà probabilmente agevole soluzione nella sua generalizzata esclusione, fatte salve eventuali ed episodiche fattispecie in cui si siano verificate macroscopiche violazioni delle leges artis.
D’altronde, il principio di ragionevolezza, che affonda le sue radici nell’articolo 3 della Costituzione, comporta quale corollario ineludibile il dovere di trattare in modo uguale situazioni uguali e di trattare in modo diverso situazioni diverse. Dunque, poiché la fase di emergenza per sua stessa natura non può essere considerata uguale alla situazione ordinaria, va da sé che la materia della responsabilità medica ai tempi del COVID-19 non può che essere giudicata tenendo bene a mente e in giusta considerazione lo specifico momento storico che stiamo vivendo.
Francesco Sanna, Avvocato