In tema di sicurezza sul lavoro, occorre precisare che il datore di lavoro è titolare di specifici obblighi di adeguata informazione, formazione e vigilanza dei lavoratori ed è tenuto per Legge all’adozione di tutte le misure idonee a prevenire eventuali rischi connessi all’attività lavorativa.
Tali obblighi trovano fondamento nell’art. 2087 c.c. e nelle disposizioni contenute nel Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.
All’evidenza, si tratta di norme volte a contenere il più possibile i rischi e ad evitare il verificarsi di infortuni, tanto ciò è vero che il datore di lavoro deve adottare, secondo la propria esperienza e le migliori conoscenze tecniche, le misure necessarie in relazione al tipo di attività svolta, le quali devono essere costantemente aggiornate.
In caso contrario, l’inosservanza delle norme dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro può comportare la responsabilità penale del datore di lavoro, ove sia dimostrato il nesso di causalità tra la predetta violazione e l’evento lesivo verificatosi in danno del lavoratore.
In particolare, giova sottolineare che in capo al datore di lavoro, quale titolare di appositi obblighi posti a presidio della salute e sicurezza del lavoratore, è riconosciuta una cd. posizione di garanzia.
Ne deriva che, ai sensi dell’art. 40 c.p., il datore di lavoro risponde dell’evento lesivo, qualora non abbia adottato le misure anti infortunistiche volte ad impedirlo o non abbia vigilato adeguatamente sul rispetto delle medesime.
Tanto precisato, all’evidenza, ciò non significa che il titolare della posizione di garanzia sia ritenuto responsabile automaticamente al verificarsi di un incidente sul luogo di lavoro (Cass. pen., sez. IV, 13 gennaio 2021, n. 4075). Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale
Invero, è necessario verificare, innanzi tutto, se sussiste o meno la violazione dell’obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro.
Inoltre, occorre che l’evento lesivo verificatosi in concreto sia proprio quello che la misura di contenimento mirava ad evitare (cd. concretizzazione del rischio) ed, infine, che l’infortunio si sia verificato a causa della condotta negligente, imprudente o imperita del datore di lavoro o in conseguenza della violazione di norme specifiche.
Nel caso in cui ricorrano tutti gli elementi poc’anzi menzionati, il datore di lavoro potrà essere chiamato a rispondere per colpa delle lesioni o morte del lavoratore, ai sensi dell’art. 43 c.p.
Peraltro, il datore di lavoro è tenuto al rispetto dei predetti obblighi anche in caso di nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, posto che tale figura non può sostituire quella del datore di lavoro, che, anche in tale ipotesi, mantiene il ruolo di vigilanza.
Tuttavia, in taluni casi, è prevista la possibilità di delegare le funzioni in materia di sicurezza e igiene sul lavoro -ad esempio, nell’ambito societario- con la conseguenza che solo il delegato potrà rispondere di eventuali eventi lesivi subiti da un dipendente.
Ne consegue che il datore di lavoro, direttamente o mediante apposite figure delegate, deve sempre dotarsi di strumenti di valutazione, gestione e controllo del rischio, la cui osservanza risulta idonea a evitare il verificarsi di eventi lesivi o quanto meno a escludere o limitare la rilevanza penale delle condotte del datore di lavoro.
E in caso di “imprudenza” del lavoratore?
Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio consolidato secondo il quale, a fronte di una condotta omissiva del datore di lavoro, il comportamento del lavoratore, quand’anche risulti negligente o imprudente e abbia contribuito a dare causa all’evento lesivo, non vale a interrompere il nesso causale tra la condotta ascritta al datore di lavoro e l’incidente occorso al dipendente.
In altre parole, dal momento che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, ancorché prevedibili, non è configurabile una responsabilità del medesimo, quando il sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità o anomalie (Cass. pen., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 8163).
A tale riguardo, però, nella sentenza n. 50000 del 6 novembre 2018, i giudici di legittimità hanno precisato che: “Il comportamento del lavoratore può rilevare quale limite alla responsabilità del datore di lavoro solo quando risulti abnorme, eccezionale o comunque esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile, sicché tra gli obblighi del datore di lavoro è ricompreso anche il dovere di prevenire l’eventuale comportamento negligente o imprudente del lavoratore”. Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale
Che cosa si intende, dunque, per comportamento “abnorme”?
Si considera “abnorme” il comportamento che risulta talmente eccezionale e ingovernabile rispetto al tipo di attività svolta, da collocarsi al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Pertanto, se il comportamento del dipendente non può connotarsi come abnorme o imprevedibile, tenuto anche conto dell’esperienza maturata dal medesimo e della specifica lavorazione posta in essere, sussisterà comunque una responsabilità del datore di lavoro (Cass. pen., sez. IV, 25 settembre 2020, n. 26618).
Quest’ultimo, infatti, risponderà del reato colposo (lesioni o morte) e sarà tenuto al risarcimento dei danni conseguenti, per non aver adottato le misure necessarie a contenere il rischio di verificazione di eventi lesivi, compresi quelli che possono prevedibilmente derivare da errori nello svolgimento dell’attività di lavoro.