Il licenziamento al tempo della pandemia da SARS-CoV-2

L’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha causato l’interruzione del ciclo economico e produttivo di aziende ed imprese, sia di piccole che di grandi dimensioni: queste, quindi, hanno attraversato – ed attraversano tuttora – delle grandi difficoltà nella gestione delle risorse personali ed economiche, che le hanno portate, loro malgrado, a dover licenziare parte del proprio personale.

Per tutelare i datori di lavoro ed i lavoratori dipendenti, il Governo Conte, di concerto con le parti sociali, ha approntato un articolato sistema di ammortizzatori sociali per consentire la riorganizzazione strutturale dell’azienda in crisi e ridimensionare il costo del lavoro, cui si accompagnano degli incentivi volti ad evitare la dispersione del capitale umano e, al contempo, favorire l’occupazione.

Tra le tante misure adottate, il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (cosiddetto “Cura Italia”), convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27, ha imposto fino al 31 marzo 2021 il divieto di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ovvero quelli determinati da «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa.» (art. 3 della L. 15 luglio 1966, n. 604)

In particolare, quindi, al datore di lavoro è preclusa la possibilità di intimare il licenziamento al proprio dipendente pure in presenza di un evento di natura eccezionale ed imprevedibile, come l’emergenza da SARS-CoV-2, che di fatto determina la riduzione dei livelli di attività e, conseguentemente, causa l’alterazione del rapporto tra fabbisogno occupazionale e numero dei lavoratori impiegati in quel dato momento.
La medesima misura, invero, è stata adottata anche in ordine al licenziamento collettivo: questo, infatti, non può essere intimato neppure quando ricorrano oggettive esigenze tecnico – produttive che imporrebbero la riduzione del personale.

Pertanto, sia in caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo che in caso di licenziamento collettivo, il recesso unilaterale del datore di lavoro dev’essere considerato nullo, in quanto posto in violazione di una norma avente carattere imperativo, collegata ad esigenze di ordine pubblico.

Ne consegue che il lavoratore che sia stato licenziato può legittimamente adire l’autorità giudiziaria per ottenere, previa declaratoria di nullità del licenziamento intimato, la reintegra nel proprio posto di lavoro, il risarcimento del danno consistito nella mancata retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, e la condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali spettantigli. Avv. Viola Zuddas, Civilista

Tuttavia, bisogna precisare che il blocco dei licenziamenti, imposto dal predetto decreto “Cura Italia”, cesserà il 31 marzo 2021 e, pertanto, il nuovo ministro del lavoro Orlando dovrà valutare l’opportunità della sua proroga o, quantomeno, la necessità di adottare ulteriori riforme degli ammortizzatori sociali.

Sul punto, è importante rilevare che l’Istat ha registrato un considerevole calo dell’occupazione nel nostro territorio, e che esso ha riguardato, in particolare, i lavoratori precari, le partite iva e coloro che avevano un contratto stagionale: al contrario, i danni sono stati contenuti per i lavoratori subordinati proprio grazie al blocco dei licenziamenti ed alla cassa integrazione.
Invero, giunti al 31 marzo 2021, si rischia di assistere a decine di migliaia di licenziamenti che porteranno ad irreversibili ed inevitabili processi di ristrutturazione delle imprese e, nei casi più gravi, alla cessazione dell’intera attività.

Non vi è dubbio, quindi, che, al fine di scongiurare un’improvvisa e difficilmente gestibile ripercussione sull’occupazione, il governo guidato da Mario Draghi dovrà adottare soluzioni mirate che tengano in considerazione le differenze esistenti nel mondo del lavoro e che siano effettivamente rispondenti alle esigenze concrete sia dei lavoratori che delle imprese.

A quest’ultimo proposito, deve darsi conto del dibattito crescente in ordine alla legittimità del blocco dei licenziamenti e, di conseguenza, di una sua eventuale proroga.

L’art. 41 Cost., comma primo, infatti, precisa che “L’iniziativa economica privata è libera” e, dunque, l’adozione di misure che incidano sulla libertà di impresa dovrebbe essere dettata solo da esigenze di carattere straordinario e, comunque, dovrebbe essere limitata nel tempo. Avv. Viola Zuddas, Civilista

Proprio tale aspetto solleva non poche perplessità, poiché le disposizioni che sono state adottate (come, appunto, il blocco dei licenziamenti) sono entrate in vigore da ben 13 mesi e, dunque, non sarebbero pienamente compatibili con il concetto di “temporaneità” che dovrebbe giustificare un divieto di tale portata.

Tali considerazioni sono sicuramente condivisibili; tuttavia, non può sottacersi che le predette misure siano state assunte per tutelare la salute collettiva dal rischio pandemico e che, nelle intenzioni del governo guidato dal presidente Conte, sarebbero dovute rimanere in vigore per un periodo limitato di 60 giorni.

Ad ogni modo, sarà necessario attendere i provvedimenti che il nuovo governo adotterà nelle prossime settimane, nella speranza che vengano gettate le basi per una riforma organica del mondo del lavoro e, altresì, degli ammortizzatori sociali.

Viola Zuddas, Avvocato

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