Nello spazio Europeo, connotato dalla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, sono sempre più frequenti i casi in cui, all’insorgere di una controversia, sia necessario stabilire il diritto applicabile, nonché l’autorità giurisdizionale competente a decidere nel merito.
Problema, questo, che si pone, altresì, in tema di separazione e divorzio di coppie definite come “internazionali”, ossia coppie di diversa nazionalità ovvero della stessa nazionalità ma che hanno contratto matrimonio in uno Stato diverso rispetto a quello di origine o, più comunemente, hanno deciso di installare la vita coniugale in un altro Stato membro dell’Unione Europea – o anche Stato terzo – rispetto a quello in cui hanno contratto matrimonio.
In tali casi, la maggiore difficoltà deriva, indiscutibilmente, dalla molteplicità e diversità delle legislazioni in materia di scioglimento del vincolo coniugale. Basti pensare che, a differenza dell’ordinamento italiano, vi sono altri ordinamenti che non considerano l’istituto del divorzio, ed altri che, pur contemplandolo, non conoscono, d’altra parte, quello della separazione personale dei coniugi (come, ad esempio, l’ordinamento rumeno).
Va da sé che in uno scenario normativo particolarmente articolato, ove si intrecciano norme di diritto interno, diritto comunitario ed internazionale, non è certamente agevole orientarsi senza incorrere nel rischio di perdere la rotta.
Cosa accade se, ad esempio, al momento della domanda di divorzio i coniugi hanno trasferito la propria residenza oppure se la legge astrattamente applicabile subordina il divorzio a condizioni troppo restrittive?
A quali norme, in questi casi, occorre appellarsi al fine di individuare il giudice competente e la legge applicabile in sede di divorzio transnazionale?
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Sul punto, la Corte di Giustizia è stata interpellata da un giudice nazionale, in via pregiudiziale, al fine di interpretare e chiarire la portata dell’art. 10 del Regolamento n. 1259/2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.
Tale procedura è stata attivata alla luce di un caso presentato a un Tribunale rumeno.
Nel caso di specie, due cittadini rumeni contraevano matrimonio in Romania e, successivamente, trasferivano la propria residenza in Italia. Dopo aver presentato domanda di divorzio nanti il Tribunale della Romania, il Giudice investito della causa riconosceva, sulla base dell’art. 3 del Regolamento n. 2201/2003, la propria competenza generale a conoscere della domanda di divorzio e, al contempo, sulla base dell’art. 8 del Regolamento n. 1259/2010, individuava quale legge applicabile alla controversia quella italiana. Ciò in quanto, al momento della proposizione della domanda di divorzio, la residenza abituale dei coniugi si trovava proprio in Italia.
Tuttavia, poiché secondo il diritto italiano, in una tal circostanza, la domanda di divorzio può essere avanzata soltanto a seguito di previa separazione dei coniugi – nella specie mai intervenuta – i Giudici respingevano la domanda.
Una delle parti decideva, dunque, di impugnare la sentenza affermando che, poiché la legge italiana è particolarmente restrittiva con riguardo alle condizioni richieste per divorziare (ossia il previo intervento di una pronuncia di separazione giudiziale o omologa), nel caso di specie ben avrebbe dovuto applicarsi alla domanda di divorzio la legge rumena (ossia la legge del foro), in quanto più semplice e meno restrittiva.
Alla luce di detta contestazione, il Giudice di merito sottoponeva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale circa l’esatta interpretazione dell’art. 10 del Regolamento n. 1259/2010. Detta norma, dal carattere del tutto residuale, dispone espressamente che: “Qualora la legge applicabile ai sensi dell’articolo 5 o dell’articolo 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale, si applica la legge del foro”.
Nel caso di separazione o divorzio di una coppia internazionale, occorre stabilire quale sia l’autorità giurisdizionale competente e la legge applicabile alla luce del diritto interno e comunitario. Avv. Eleonora Pintus, Penalista e Internazionalista
In particolare, il Tribunale chiedeva se l’espressione “la legge applicabile ai sensi dell’articolo 5 o dell’articolo 8 non prevede il divorzio” debba essere interpretata in modo restrittivo – per cui la legge del foro troverebbe applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui la legge (straniera) applicabile non preveda in nessun caso il divorzio – ovvero secondo un’interpretazione estensiva; ciò da cui consegue che la legge del foro trovi applicazione anche nelle ipotesi in cui pur contemplando la legge straniera il divorzio, esso viene subordinato a condizioni eccezionalmente restrittive, quali la previa separazione.
La Corte di Giustizia, sulla base di un’interpretazione ispirata ai principi fondamentali, ha affermato che l’art. 10 sopra citato deve essere interpretato nel senso che i termini “[q]ualora la legge applicabile ai sensi dell’articolo 5 o dell’articolo 8 non preveda il divorzio” riguardano unicamente le situazioni in cui la legge straniera applicabile non prevede il divorzio in alcuna forma” (Corte giustizia UE, sez. I, 16 luglio 2020, n. 249).
Sulla scia di tale impostazione, la Corte di Giustizia ha riconosciuto, nel caso di specie, la giurisdizione del Giudice rumeno a pronunciare il divorzio tra cittadini rumeni residenti da anni in Italia ma con applicazione della legge italiana.
Ciò in quanto, alla luce del principio espresso, la legge straniera (in questo caso quella italiana) dovrà trovare applicazione anche se contiene condizioni più restrittive rispetto a quella del foro, poiché un caso di tal genere – ove la legge straniera applicabile consente di chiedere il divorzio solo nell’ipotesi in cui sia stata previamente pronunciata una sentenza di separazione – non può assolutamente essere assimilato al caso in cui in un ordinamento non sia previsto, tout court, l’istituto del divorzio.